Missioni Consolata - Giugno 2002
gredita, stia progredendo e progre- disca nella direzione desiderata». L ’influenza darwiniana fa sì che svi- luppo e progresso diventino sinoni- mo di evoluzione, ossia processo verso forme sempre più perfette. Lo sviluppo, quindi, da processo nasci- ta-morte, viene ora concepito come qualcosa di «direzionale, cumulati- vo, irreversibile e volto ad uno sco- po». La cultura dominante , che confonde tra loro i termini sviluppo, crescita, progresso ed evoluzione, impone che «i diversi paesi si svi- luppino secondo stadi successivi, dalla società tradizionale a quella dei consumi di massa, lungo una dire- zione lineare verso la modernizza- zione». Tre sono i dogmi su cui si basa ta- le pensiero: 1) esiste un unico modello di svi- luppo, che ha come fine la società capitalista avanzata dei consumi; 2) l’unico fine è quello della cresci- ta economica; 3) il benessere deve essere inteso co- me consumo e accumulo di merci (Cuhna, 1988). Secondo questo approccio, quin- di, lo sviluppo economico, inteso come sviluppo industriale e tecno- logico, assicura da solo il progresso sociale e il benessere dell’uomo. ECONOMIA CONTRO ECOLOGIA? Nei primi anni Sessanta iniziano ad emergere, in molteplici ambiti, danni ecologici irreversibili dovuti alla grande crescita economica ed industriale. La percezione dei pro- blemi ambientali è limitata ai feno- meni di inquinamento locale e le so- luzioni proposte consistono nella definizione di livelli di emissione re- lativi a determinate sostanze, nella dispersione degli inquinanti, nella protezione di spazi circoscritti. È l’approccio della «protezione e ri- parazione ambientale». Nel corso degli anni Settanta, gra- zie al miglioramento delle cono- scenze scientifiche e alla crescente sensibilizzazione dell’opinione pub- blica, le preoccupazioni ambientali iniziano ad estendersi su scala in- ternazionale . Si passa ad un approccio diverso, quello della «gestione delle risorse»: nel 1972, infatti, il rapporto del Club di Roma «I limiti dello sviluppo», pubblicato dal Mit ( Massachusetts Institute of Technology ), affianca al problema dell’inquinamento quello del depauperamento delle risorse del pianeta, la cui gravità viene am- plificata dalla crisi petrolifera del 1973. È anche l’approccio della «ge- stione del rischio»: dopo alcuni e- venti catastrofici di origine indu- striale ( Seveso, Bhopal… ), nasce l’e- sigenza di saper affrontare situazioni nelle quali il rischio non è completa- mente eliminabile a priori e le con- seguenze sono spesso irreparabili. Nonostante numerose critiche, il rapporto del Club di Roma ha avu- to il merito di sollevare il dibattito internazionale sulle questioni am- bientali e di avanzare il concetto di limiti fisici alla crescita. Le due po- sizioni estreme, all’interno delle quali si è sviluppata la discussione, sono l’economia di frontiera e l’eco- logia profonda, analoghe rispettiva- mente all’approccio tecnocentrico ed ecocentrico: 1) l’ economia di frontiera assegna alla natura un valore strumentale, in virtù dei numerosi servizi che essa offre all’uomo; la considera, inoltre, come fonte inesauribile di risorse Sviluppo Nel linguaggio comune, accettato da economisti, decisori pubblici ed opi- nione pubblica, per «sviluppo» si intende la crescita quantitativa dell’eco- nomia, misurata attraverso vari indicatori economici, primi fra tutti il Pil (pro- dotto interno lordo). Lo sviluppo sostenibile, invece, distingue tra «crescita» quantitativa e «sviluppo», inteso come miglioramento qualitativo, che integri fra loro gli aspetti economici, sociali ed ambientali. Indicatori di sostenibilità Sono strumenti che monitorano il progresso verso uno sviluppo sostenibile. Tentando di ricomprendere tutte le dimensioni della sostenibilità, essi mirano a sostituire gli attuali strumenti di misura della crescita economica, in parti- colare il Pil. Questo non solo considera esclusivamente le attività valutabili in termini monetari, ma omette aspetti rilevanti e ne comprende altri di para- dossali. Dal punto di vista sociale, infatti, non considera la produzione di be- ni e servizi derivanti dal lavoro domestico o dal volontariato, mentre calcola le spese sanitarie necessarie per affrontare gli effetti negativi della produzio- ne e del consumo; dal punto di vista ambientale, il Pil aumenta anche grazie alle spese per la protezione ambientale (alluvioni, terremoti…!) e per il disin- quinamento. Impronta ecologica Rappresenta la superficie di territorio ecologicamente produttivo (terra ed ac- qua) necessaria per fornire le risorse di energia e materia consumate da una certa popolazione e per assorbire i rifiuti prodotti dalla popolazione stessa. Mentre il classico concetto di «capacità di carico» indica quante persone può sopportare la terra, l’impronta ecologica indica quanta terra ogni persona ri- chiede per condurre il proprio stile di vita. Zaino ecologico Detto anche «flusso nascosto», o «fardello ecologico», rappresenta la quantità di materiali prelevati dalla natura durante le fasi di produzione, utilizzo e smal- timento relative ad un prodotto (o servizio). Si tratta di materiali abiotici (sab- bia, ghiaia, minerali, combustibili fossili), materiali biotici (biomassa vegetale ed animale), terreno fertile, acqua, aria. Le parole-chiave
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