Missioni Consolata - Giugno 2002
41 APRILE 1998 CONSOLATA MI SS IONI 41 GIUGNO 2002 CONSOLATA MI SS IONI M ai mi sarei aspettato di tro- varmi di fronte ad una de- vastazione del genere: Ra- mallah è distrutta parzialmente, Nablus e il campo profughi di Je- nin lo sono quasi completamente. Lavorare è difficile. Non abbia- mo il permesso di entrare da nes- suna parte: i soldati sembrano qua- si divertirsi ad inseguire i giornali- sti. «It’s like a play: sometime you win, sometime you lose», spiega l’anziano riservista che ci ferma su una stradina di campagna, mentre per l’ennesima volta cerchiamo di raggiungere il campo di Jenin. Da sempre i signori della guerra non amano fotografi e giornalisti. E la guerra di Sha- ron non fa eccezione, come subito possiamo rendercene conto. Al quarto tentativo, dopo aver at- traversato quasi tutto il territorio palestinese occupato dalle truppe israeliane, riusciamo a raggiungere la periferia del campo profughi di Jenin. Q ui si sta ancora sparando. Torkam, un palestinese di 50 anni, ci offre rifugio nel- la sua casa. Pur avendo perduto quasi tutto, ci prepara una tazza di caffè. «Ho lavorato 20 anni in Arabia e sono tornato in Palestina per vive- re una vecchiaia tranquilla» ci dice. E prosegue: «Il 3 aprile i soldati so- no entrati con la forza nella mia ca- sa. Ci hanno legato le mani con il nastro adesivo, hanno separato gli uomini dalle donne e i bam- bini; questi ultimi sono stati fat- ti sdraiare nel prato dove sono rimasti fino alla sera del giorno dopo. A noi è toccata la sorte peggiore: ci hanno bendati e fat- ti uscire. Pur non vedendo, mi sono reso conto di tro- varmi di fronte ad un plotone d’ese- cuzione. Quando ho sentito che ve- nivano carica- ti gli M16 , ho pensato che fosse arri- vata la mia ora». Fortunatamente i soldati al momento decisivo hanno sparato in aria. Ma Torkam ci assicura che lo spavento è stato grande. Non stentiamo a crederlo... Poco più in là troviamo riparo in un’altra casa, mentre i soldati con- tinuano i pattugliamenti antigior- nalista. Abdala, il più anziano del- la famiglia, inizia a parlare: «La mia casa è stata occupata per due gior- ni da più di cento soldati». Entria- mo. L’abitazione è stata ripulita, ma sono ancora bene evidenti le scritte in ebraico sui muri e sulle porte. Le finestre dell’ala sud sono distrutte. «La mia casa è in una po- sizione ideale per sparare sul cam- po», ci spiega Abdala, mostrando- ci un bidone pieno di bossoli. «Siamo senza acqua, cibo, luce, elettricità e telefono. Solo una vol- ta le Nazioni Unite sono riuscite a portarci un po’ di latte in polvere per i bambini. Io voglio vivere in pace, non sono un terrorista; ma la verità è che adesso li odio». Fissa lo sguardo nel vuoto e trova ancora la lucidità di ripetere: «Odio Sha- ron e i suoi soldati». P are che i tanks si siano sposta- ti. Con altri tre colleghi deci- diamo di tentare la sorte e cor- rere per i pochi metri che ci separa- no dal campo. Appena dentro, quello che si presenta ai nostri occhi è indescrivibile: centinaia di case completamente distrutte, l’acqua scorre senza sosta dai tubi spezzati, Ramallah, Nablus e soprattutto Jenin. Morte, distruzione e, purtroppo, sentimenti d’odio che crescono e si radicano negli animi. Il racconto del nostro inviato nei territori occupati dalle truppe di Ariel Sharon non lascia spazio alla fantasia. di Davide Casali, dal campo profughi di Jenin La seconda intifada palestinese «Non sono terrorista. Ma...»
RkJQdWJsaXNoZXIy NTc1MjU=