Missioni Consolata - Giugno 2002
forte empatia con il mondo arabo. «Noi israeliani non abbiamo solo un passato glorioso, ma anche un presente terribile; lo dobbiamo af- frontare ogni volta che ci sediamo al computer per scrivere le storie che vengono dal nostro cuore. Le brut- te notizie, trasmesse ogni giorno dal- la radio e televisione israeliana, non sono una gabbia, ma solo un mo- mento di quel male che viene fatto da anni contro un altro popolo in cui tutti quanti noi viviamo immersi. Noi non siamo in una gabbia; ma il senso di colpa continua a ferire chi, come noi, non ha muscoli irrigiditi della coscienza. La nostra scrittura è veramente in contrasto con quella della genera- zione di BatyaGur e il messaggio in- culcato a quella generazione: il mes- saggio sulla creazione dello stato di Israele, che voleva essere il centro verso cui far convergere gli immi- grati provenienti da tutto il mondo, pretendendo però che si adeguasse- ro per essere degni di essere chia- mati israeliani. Per me (e credo di interpretare il pensiero di Keret) scrivere è cerca- re di rifiutare la pretesa del sionismo di creare una figura ideale di ebreo, per restare invece noi stes- si per quanto possibi- le: senza dover per forza convergere e sentire di do- verci uniformare, ma restare la voce di una minoranza che si esprime. Non tutti devono per forza essere israeliani perfetti per appartenere a questo paese. Voglio anche pensare che sia possibile per noi appartene- re ad Israele, pur restando noi stes- si. Siamo israeliani fatti in un modo diverso, forse alternativo». D ORIT R ABINYAN : Spose persiane (Neri Pozza 2000) E lena Loewenthal ha termina- to la presentazione degli scrittori commentando: «Tutti gli israeliani fanno parte di uno sradicamento, eccetto Yeho- shua, che si sente una pianta e non uno sradicato, perché appartiene al- la generazione del paese. C’è pure la coscienza, più o meno vasta, che lo sradica- mento è la condizione del- la sopravvivenza . Ogni israeliano sa che, se il padre o il nonno o egli stesso non fosse stato sradicato (vuoi dalla Per- sia, vuoi dalla Polonia, vuoi dal resto del mondo), non esi- sterebbe più. Questo senso di essere dei sopravvissuti, anche a due o tre generazioni di di- stanza dagli eventi storici più di- versi (non mi riferisco soltanto alla shoa /olocausto), è parte di un comune destino ebraico, che è quel- lo di essere comunque tutti dei so- pravvissuti. Primo Levi ci ha raccontato qua- le groviglio emerge, nella coscienza di ciascuno di noi, quando si tenta di esplorare il senso di essere dei “sopravvissuti”. Tutto questo si ri- flette nella letteratura israeliana, an- che a distanza, in forme e rifrazioni estremamente varie con i risultati che vediamo. Non vorrei, però, che si creasse nel lettore che si avvicina per la pri- ma volta alla letteratura israeliana un equivoco : pensare che qualunque li- bro proveniente da Israele non con- tenga altro che la profonda lacera- zione della coscienza, dovuta al fat- to di vivere in un paese come questo. Questa letteratura è grande, anche a prescindere da quello che si è co- stretti a vivere ogni giorno: entrare magari in un supermercato e... non uscirne vivi, perché un kamikaze si butta dentro ed ammazza numero- se persone. La letteratura israeliana è (forse anche per questo e a prescindere da questo) una grande letteratura, ric- ca di diversità e pluralismo. Non a caso ho parlato di “paesaggi can- gianti”, di varietà di toni, di colori e orizzonti che regalano alla letteratu- ra una varietà ed un impegno piut- tosto unici. Ci troviamo di fronte a scrittori capaci di riflettere critica- mente sulla realtà che li circonda». ( 1) Kibbutz : insediamento di un grup- po israeliano con i beni in comune. (2) Sionismo (da Sion): movimento po- litico-culturale all’origine della nascita del moderno stato di Israele. Antisioni- smo e antisemitismo non coincidono. 37 GIUGNO 2002 CONSOLATA MI SS IONI Ramallah, « check point » : un soldato israeliano controlla i documenti di una donna palestinese. Foto sotto: venditore ambulante arabo.
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