Missioni Consolata - Giugno 2002
35 GIUGNO 2002 CONSOLATA MI SS IONI rio di erigere un “monumento” ad un fenomeno che si stava estinguen- do o distruggendo: il nuovo stato d’Israele iniziava a diventare colo- nialista... Penso che, se avessi scrit- to il libro 10 anni prima, sarei stata crocifissa nello stato d’Israele, per- ché la società del kibbutz rappre- sentava il 10%del paese ed era con- siderata la parte migliore dell’ideo- logia: rappresentava i grandi ideali di uguaglianza, di parità tra i generi, di giustizia. Tutto questo si è realiz- zato nei kibbutz dagli anni ’50 sino all’inizio degli anni ’90. Non homai vissuto in un kibbutz, ma non si può vivere in Israele sen- za visitare e conoscere un kibbutz, perché ha veramente riassunto tutti i desideri e i grandi ideali che hanno ispirato quella società chiusa. I nuo- vi sviluppi nello stato d’Israele han- no trasformato i kibbutz in una cor- nice senza contenuti. Da quando il libro è stato scritto ad oggi il kibbutz è in bancarotta. Da un punto di vista ideologico si è tra- sformato in un ente privato: si paga- no salari ai dipendenti, la gente nel kibbutz può acquistare i propri ap- partamenti e deve pagare il cibo nel refettorio. Quando scrissi il libro si era solo all’inizio di questo processo. Ho, perciò, raccontato come i bam- bini dormivano insieme, accuditi da una governante, e come erano cre- sciuti insieme, lontani dalle famiglie. Ho cercato di raccontare come si sentivano. Il libro è un confronto tra la vecchia e la nuova generazione della società dei kibbutz». B ATYA G UR : Delitto in una mattina di sabato (Rizzoli 1993); Omicidio nel kibbutz (Piemme 2000) KERET : «LA PACE È BUONA, LA GUERRA È...» Anche Etgar Ke- ret è nato a Tel Aviv nel 1967 (ge- nerazione succes- siva a Batya Gur). Scrive per la tele- visione israeliana e lavora per la Tel Aviv University School of Film. Ci ha raccontato co- me nascono i suoi racconti, a detta dei critici, pervasi da «ironia corro- siva». «Il tempo tra il risveglio (quando ancora ci si deve lavare la faccia) e la tazza di caffè è il periodo in cui molte delle mie storie hanno luogo. Momenti in cui uno si ritro- va tra l’essere una persona normale, pronta ad andare al lavoro, ed un pezzo di argilla che il Signore volle trasformare senzamolto successo in un essere umano. Le ragioni si trovano nel fatto che il Dio degli ebrei non ha una forma corporea, al contrario di Gesù che si può vedere. Da questo discende tut- ta una cultura astratta. Anche il sio- nismo (2), conosciuto da bambino, è stato per me un’ideologia astratta, difficile da sentire: mi è sempre sem- brata piena di contraddizioni e di grande ansietà per gli scampati dal- l’olocausto. Tutti i nostri libri per ragazzi era- no pieni dei grandi eroi d’Israele; ce n’era uno in particolare, Danet Dean (parlo del 1950-60), che era speciale. Era un personaggio eroico che lottava sempre per la sopravvi- venza di Israele ed aiutava il suo pae- se, spiando le nazioni arabe o sal- vando bambini dall’essere rapiti. Ma aveva una particolarità: era invisibi- le. Credo non per caso. Per tantissi- mi bambini israeliani comeme, la fi- gura letteraria ideale è stato appun- to un personaggio invisibile: nessuno sapeva com’era fatto. Tanti dellamia generazione si tro- vano a far parte di una società che è stata plasmata da un’ideologia; ma tale ideologia ci è diventata invisi- bile , come il personaggio a cui ac- cennavo prima. Per lo più la società sembra fare riferimento al grosso buco di una ciambella. A partire da tale buco, noi cerchiamo di rico- struirci un’identità e un futuro per mezzo di strumenti di alta spiritua- lità (come lo studio della bibbia) o cose pratiche e pragmatiche (come risolvere i problemi del Medio Oriente). Alcuni scrittori, come Dorit ed io, cercano di ricostruire qualcosa del nostro passato. Infatti siamo nati e vissuti in una nazione che ha preso la sua gente da paesi diversi e, ciò fa- cendo, ha sradicato le persone. I nonni di Dorit sono immigrati dalla Persia; i miei nonni sono immigrati in Israele dalla Polonia dopo la se- conda guerramondiale. Ciò ha com- portato uno sradicamento, oltre che un trasferimento, un’immigrazione. Dorit Rabynian in Spose persiane racconta, con successo, una storia che si svolge in un paese straniero, ricollegandola attraverso le genera- zioni femminili alla sua storia perso- nale. Io non ho altrettanto successo nel tentare di ricostruire il mio pas- sato, ma penso di riuscire a raccon- tare il presente. Nella Poetica di Ari- stotele si legge che l’arte dovrebbe imitare la vita così com’è. La vita è, però, assai più complessa di qual- siasi manifesto politico. Anni fa scrissi un racconto (pub- blicato da un giornale), ambientato Verso Jenin: al «check point» Salem pacifisti israeliani discutono con alcuni soldati.
RkJQdWJsaXNoZXIy NTc1MjU=