Missioni Consolata - Giugno 2002

MISSIONI CONSOLATA 21 GIUGNO 2002 vranno l’egemonia sull’America Latina. Tutto questo spiega anche l’attuale rimi- litarizzazione del continente. Intanto, truppe di Washington sono già presenti in Colombia nel quadro del “Plan Co- lombia”, con il concreto rischio di crea- re un altro Vietnam». Lei parla di cause esterne al paese; ma non ci sono anche responsabilità ar- gentine? «Certamente: nessuno può imporre al- cunché se non glielo si permette. Nel paese c’è una corruzione assoluta. Per questo gli argentini non credono più al- la classe politica. I politici sono le persone che diedero i su- perpoteri al ministro dell’economia Cavallo, quelli che permisero le privatizzazioni, sia con il governo di Menem sia con il governo di De La Rua. Ci sono lettere che io ho mandato a De La Rua dove tutto questo è scritto in mo- do molto chiaro; in particolare, nell’ultima gli dissi: “Lei sta cospargendo il pavimento di benzina, alla prima oc- casione s’incendia il paese”. Dopo un mese, avvenne pro- prio questo». Lei parla spesso di «terrorismo economico»... «Quando la Fao segnala che oltre 35.600 persone muoio- no di fame nel mondo ogni giorno, questo è “terrorismo economico”. L’11 settembre dell’anno scorso eravamo con il governatore, qui a Porto Alegre, per lanciare il Fo- rum. Quel giorno si verificò l’attacco terrorista contro New York e Washington. Quindi, il dato della Fao passò completamente sotto silenzio sui mezzi di comunicazio- ne internazionale, perché tutti si concentrarono sugli at- tentati negli Stati Uniti. Io credo che la guerra abbia molti campi di battaglia e u- no di questi sono i popoli: cercano di neutralizzarci. Per arrivare a questo ci sono molti modi: limitare o togliere il diritto alla salute e all’educazione; utilizzare il ricatto della disoccupazione. Questo capitalismo non riesce a riformarsi per una semplice ragione: è nato senza cuore. E senza cuore non si ha la capacità di amare». Ha ancora un senso l’organizzazione delle Nazioni U- nite? «Credo che le Nazioni Unite siano state destituite dal po- tere egemonico degli Stati Uniti, che hanno imposto le loro condizioni. Si pensi che gli Usa non vogliono ratifi- care il “Tribunale penale internazionale” (2); in compen- so hanno istituito tribunali militari per quelli che loro con- siderano terroristi». Allora, professore, un mondo in pace è un’utopia o u- na possibilità reale? «Io dico: sì, è possibile, nonostante tutte le difficoltà di questi anni, nonostante la corsa agli armamenti, nono- stante la povertà. È possibile costruire un mondo in pa- ce se noi siamo disposti a renderlo possibile... Io cito spesso gli studenti del ’68 in Francia. Essi dissero una cosa che dobbiamo tenere presente: “Siamo realisti, vo- gliamo l’impossibile”». Ci dia qualche suggerimento più concreto... «Dobbiamo sviluppare la creatività, il senso della vita, la solidarietà e per questo dobbiamo unire le volontà: i po- poli vogliono la pace non la guerra, non vogliono le ar- mi ma costruire una vita più giusta per tutti. Perché crediamo che non sia possibile? Siamo paraliz- zati dalla paura e se abbiamo paura non possiamo con- quistare la pace. Perché crediamo che non sia possibile affrontare la dittatura economica e finanziaria del Fon- do monetario e della Banca mondiale? Perché siamo pa- ralizzati? Voglio fare un esempio concreto: nella seduta del Tribu- nale dei popoli abbiamo parlato del debito estero (un pro- blema che sembra destinato a perpetuarsi per l’eternità), per cercare di comprendere il meccanismo di dominio in- ternazionale. Ebbene, sarebbe possibile superare il problema del de- bito estero-eterno, ma noi ci sentiamo prigionieri, senza volontà: ci hanno fatto credere che sia impossibile ve- nirne fuori. Invece, sarebbe possibile se i popoli di America Latina, Africa e Asia avessero il coraggio di unirsi e di dire ba- sta. Se diciamo basta, non ci dobbiamo preoccupare noi; si deve preoccupare la Banca mondiale e tutti i centri del- la finanza internazionale». Quella stessa finanza internazionale che in questo momento sembra voglia lasciare l’Argentina al pro- prio destino. Lei non teme un intervento militare, un colpo di stato? «No, non credo accadrà. Ma certamente noi dobbiamo vigilare e lavorare per favorire una soluzione democra- tica». Paolo Moiola N OTE : (1) Il riferimento è alla sessione annuale della Commissione O- nu per i diritti umani, riunita a Ginevra dal 18 marzo al 16 apri- le. (2) Il «Tribunale penale internazionale» delle Nazioni Unite è na- to a Roma il 17 luglio 1998. A 4 anni di distanza dall’approva- zione dello statuto, il trattato istitutivo è stato ratificato da 66 paesi. Sono assenti paesi importanti, tra cui Cina, Russia, Israele e, appunto, gli Stati Uniti. «Noi non siamo poveri, ma impoveriti (...)».

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