Missioni Consolata - Giugno 2002

D all’alto della collina, dove sorge la missione di Grand Béréby, l’oceano sembra a portata di mano e lo sguardo si e- stende all’infinito. Ma tra l’altura e il mare il panorama non è affatto en- tusiasmante: un agglomerato di abi- tazioni sgangherate e tetre, come l’a- sfalto che le spacca in due, è reso an- cora più triste da un velo di vapori tropicali che il sole non riesce a perforare. L’unico edificio che rom- pe la monotonia del paesaggio è il municipio, che spicca con prepo- tente dignità per il pulito giallo ocra della sua tozza mole. Prima che il sole sparisca nelle ac- que dell’oceano, il congolese Rom- baut Ngaba, missionario fratello, mi accompagna a visitare il paese. QUASI UN PRESEPIO Dieu est grand (Dio è grande) reci- ta la scritta sui parabrezza di scassa- tissimi pulmini e taxi, posteggiati ai bordi della strada. La leggo con de- vozione, come una giaculatoria, fin- ché mi sovviene che è la traduzione dell’arabo Allah akbar . Continuo a ri- peterla mentalmente, con spirito e- cumenico, ma meno devozione, mentre osservo botteghe e botteguc- ce tuttofare che costeggiano l’asfalto. L’abbigliamento dei gestori non la- scia dubbi: sono musulmani. «Commerci e trasporti sono quasi tutti inmano loro - spiega la mia gui- da -. L’amministrazione è appannag- gio dei locali kru ; togolesi e beninesi gestiscono rudimentali ristoranti; ad altri gruppi stranieri sono riservati la- vori più pesanti o rifiutati dai locali». «I pescatori vengono dal Ghana», continua il fratello, mentre arriviamo al porto. Alcuni uomini nerboruti rattoppano le reti; altri, con grosse ceste sulla testa e acqua alla cintura, scaricano il pesce dalle barche e lo ammucchiano sulla terra ferma. I bambini guardano curiosi e festanti, mentre un nugolo di donne vocian- ti acquistano la merce; altre sono già al lavoro: puliscono e friggono gros- si pesci per rivenderli al minuto su banchetti traballanti. Il sole è tramontato; la notte scen- de veloce. Le fioche lampadine pen- zolanti nei negozi e le candele delle bancarelle trasformano il paese inun presepio. Lo spettacolo è suggestivo, ma la realtà non cambia. La vita è du- ra aGrandBéréby, specie per le don- ne, che rimarranno fino a notte fon- da accanto alle loromercanzie, in at- tesa di racimolare qualche centesimo per sfamare la famiglia. Altra gente, invece, comincia a di- vertirsi. Due discoteche, pomposa- mente chiamate «ministeri della cul- tura», hanno aumentato il volume dei giradischi e richiamano i clienti che, essendo stagione di raccolti, hanno qualche franco in tasca e tan- te cose da dimenticare. Per i missionari, invece, arriva l’o- ra di andare a riposare. Cerchiamo di chiudere occhi e orecchi, perché la musica durerà tutta la notte. PROBLEMI E PROBLEMI Baciato dalla luce del mattino, Grand Béréby appare meno scalci- nato. Ma a rituffarmi nella realtà del luogo arriva Paul Ino, capo tradizio- nale e presidente del consiglio par- rocchiale. Parla dell’isolamento del- la regione, perché la strada asfaltata è dissestata e quelle che si addentra- no nella foresta nonmeritano tal no- me; della vita sempre cara, dal mo- mento che, fuorché il pesce, Grand Béréby deve importare tutto da lon- tano. Si passa al problema dell’istruzio- ne: le scuole elementari sono insuffi- cienti; quella secondaria è pratica- mente interdetta alla popolazione dell’interno, a causa delle distanze e alla mancanza di alloggi per studen- ti, maestri e altri funzionari. Come al- tri capi, anche il signor Ino prospet- ta l’esigenza di una scuola cattolica. «Il problema più grave è quello della sanità - continua il capo -. Co- mune di circa 5 mila abitanti e capi- tale di regione che si estende per ol- tre 80 kmverso laLiberia e altrettanti nell’interno, Grand Béréby dispone di un dottore e un dispensario, con un reparto di maternità, per decine di migliaia di persone. Mancano le medicine essenziali e, per i casi gravi, bisogna ricorrere a San Pedro, a più di 50 km di distanza. Ma se i casi so- no più di uno, dato che disponiamo di una sola ambulanza, la gente deve servirsi di taxi, che costanounocchio della testa». Conoscendo un poco la situazione creatasi negli ultimi mesi, stuzzico il capo sul problema dei rapporti so- ciali. «Grand Béréby è un paese co- smopolita» attacca il capo, ripetendo un ritornello che mi ronza nelle o- recchie da parecchi giorni. Dopo a- ver sciorinato la babele di etnie e lin- gue sotto la sua giurisdizione, conti- nua imperterrito: «DaGrandBéréby MISSIONI CONSOLATA 14 GIUGNO 2002

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