Missioni Consolata - Maggio 2002
U na gran parte della popolazione argentina si è sempre sentita come degli «europei trasferiti in America Latina». La prima volta che fui in Argentina, qualche anno fa, rimasi impressionato dai prezzi, alti anche rispetto a quelli di una città europea o nordamericana. Mi spiegarono che era la conseguenza della parità monetaria tra peso e dollaro . Poi, uscendo da Buenos Aires, vidi le ricchezze di quel grande paese: le sconfinate praterie, la terra fertile, il petro- lio, le bellezze della natura. Ma, allo stesso tempo, scoprii che una fetta consi- stente della popolazione viveva ai limiti della miseria. Sono tornato in Argentina nei primi mesi di quest’anno e ho trovato un paese prostrato, con file interminabili davanti alle odiatissime banche, una sfiducia assoluta nella classe politica (di qualsiasi colore), piazze piene di manifestanti e negozi vuoti di clienti. Le cifre del tracollo non hanno bisogno di molti aggettivi. Oggi, su una popo- lazione di 36 milioni, 14 milioni di argentini vivono sotto la soglia della povertà. Il tasso di disoccupazione raggiunge il 18,3%, mentre quello di sot- toccupazione arriva al 16,3%. L’Argentina è un paese che alla sua entrata potrebbe esporre un cartello: «chiu- so per fallimento». Sicuramente riaprirà, ma quando e a che prezzo? Accanto al problema economico (e di conseguenza sociale), c’è quello di un passato che non può essere dimenticato, soprattutto da chi ne ha subìto le con- seguenze, lasciando nella mente e nel cuore ferite impossibili da rimarginare. In questa serie di articoli gli argentini incontrati parleranno delle difficoltà di oggi e di quel passato che è ancora presente. Dai loro racconti è scaturito il titolo: « le ferite del passato, le lacrime del presente ». Pa.Mo. Introduzione ARGENTINA, « CHIUSO PER FALLIMENTO » che che, per aiutare le persone più bisognose, usavano i loro soldi. Mia figlia e suo marito seguivano gli ideali peronisti; entrambi erano della gioventù peronista... Non cre- do cheMaria fosse comunista. So in- vece che era molto cattolica, come quasi tutti i suoi amici. Loro, co- munque, erano soliti ripetere: il pri- mo comunista è stato Gesù...». Sua figlia e tutti gli altri sapevano di rischiare? «No, penso di no. Anch’io qual- che volta andai in quella bidonville per fare la maestra di scuola. Credo che nessuno di noi potesse immagi- nare che i militari avrebbero reagito così, con massacri, torture, genoci- di...». A quei tempi si sapeva già cosa sta- vano facendo? questo caso l’appartenza non cam- bia la sostanza. Una sostanza che è il dolore inconsolabile di una madre. IL SEQUESTRO «Lei era l’unica femmina in una fa- miglia di 6 figli. In casa era come u- na principessa: carina, gentile, mol- to femminile. Sì, era proprio ecce- zionale, Maria Marta. Quando scomparve, mio marito ed io, assieme al più giovane dei no- stri figli, vivevamo a Città del Messi- co. Arrivò una telefonata di un altro figlio: “Mamma, hanno portato via Maria Marta”. La sequestrarono le forze di sicu- rezza della marina nel 1976, il 14 maggio, insieme a suo marito Cesar Amadeo, medico veterinario di 26 anni. Arrivarono alle tre del mattino a casa sua, qui a Buenos Aires. Si fe- cero aprire la porta dal portiere e poi lo fecero allontanare. Ma lui si na- scose dietro una scala e osservò tut- ta la scena. Salirono all’appartamento. In ca- sa non trovarono niente di compro- mettente, ma li portarono via egual- mente. Legati e forse incappuccia- ti...». Perché li portarono via? «Per i militari tutti coloro che si comportavano fuori dei loro schemi, erano... comunisti. Maria e Cesar fa- cevano un lavoro di volontariato so- ciale in una “villa miseria”, un luogo simile a una favela brasiliana. Si era- no conosciuti in quell’ambito. La lo- ro vita era di lavorare con i poveri. E in particolare con i bambini, perché mia figlia era psicopedagoga. So an- La signora Marta Ocampo de Vasquez con, a lato, la foto della figlia Maria Marta, scomparsa nel 1976.
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