Missioni Consolata - Maggio 2002

38 MAGGIO 2002 CONSOLATA MI SS IONI «A Torino non sono mai state re- gistrate, finora, richieste di infibu- lazione/circoncisione. Chi ha scelto di emigrare in Italia ha pure scelto di mettere in discus- sione le proprie origini e tradizioni, diversamente da chi è stato costret- to a lasciare il proprio paese a causa della guerra. Questa seconda tipolo- gia di persone si sente più sradicata e non è in grado di operare scelte contro la propria cultura e tradizio- ne... In ogni caso, se in Italia vi è stata richiesta di infibulazione, non troverà risposta da parte dei medici. Il problema più evidente è quello delle conseguenze sulla salute delle donne già infibulate. A livello sani- tario nazionale, permane ancora una grande impreparazione nell’affron- tare casi di pazienti infibulate e nel prestare loro soccorso e cure ade- guate. Quando, ad esempio, in ospe- dale arrivano delle partorienti infi- bulate nessuno pensa di scucirle pri- ma del parto. Il personale sanitario ricorre automaticamente al taglio cesareo. Inoltre le donne giovani non si sottopongono a visita ginecologica per paura del dolore, ma anche per- ché si vergognano e non si sentono capite dai medici. Qualcuna ha rac- contato di avere provato molto di- sagio, perché si sentiva studiata, os- servata. Anche per questa ragione va po- sta molta enfasi sulle nefaste con- seguenze cliniche di tale pratica e sulle ragioni che spingono certi po- teri ad infibulare le proprie donne; così facendo, sottopongono queste ultime ad umiliazioni e mortifica- zioni ulteriori. In Occidente si parla di “mutila- zioni” sessuali. Già! Ma i seni, i glu- tei e altre parti del corpo sottoposte a chirurgia estetica non sono forse altrettante forme di tortura a cui la donna si sottopone pur di piacere al maschio o di tenersi il marito? Altri- menti se ne cercherebbe una più giovane, più bella o più “nuova”... Il comune denominatore tra “noi” L e mutilazioni genitali femminili (mgf) hanno radici lontane e ancora oscure. Qualcuno le fa risalire ai faraoni di Egitto (circoncisione faraonica), altri all’anti- ca Roma (in-fibulare, chiudere con fibbia: è l’usanza di applicare ai genitali esterni maschili o femminili ferma- gli o anelli per evitare i rapporti sessuali). Molti sono gli studi sull’argomento, a livello sia an- tropologico-sociologico sia medico-scientifico, che tut- tavia non hanno scalfito il silenzio e il disagio che gra- vitano attorno a questo diffusissimo fenomeno. S crive Carla Pasquinelli nella ricerca «Antropologia delle mutilazioni dei genitali femminili», curata dal- l’Aidos (Associazione italiana donne per lo sviluppo): «Dietro questo silenzio ci sono molte cose: c’è un mon- do di donne chiuso su se stesso, un mondo di interni, sospeso tra l’attesa e il timore di togliare via una parte del corpo delle proprie bambine nel corso di cerimonie di cui per secoli le madri sono state le grandi registe, e c’è un mondo esterno, un mondo di uomini che si man- tiene estraneo e distante, e che però su questo discipli- namento dei corpi femminili ha fondato le proprie stra- tegie di potere. A tenere insieme e dare coerenza a que- sti due mondi così distanti tra loro c’è una pratica cruenta, che stringe in una morsa tutta la fascia dell’A- frica subsahariana, e che costituisce l’espressione sim- bolica di un complesso sistema economico e sociale di strategie matrimoniali diffuso in maniera capillare in tut- ta l’area. Si tratta di un meccanismo di dominio fondato sul prezzo della sposa, cioè sul compenso che la famiglia del futuro marito versa alla famiglia della futura moglie in cambio di una donna illibata, il che vuol dire circon- cisa (escissa o infibulata che sia), pronta a rispedirla al mittente e a riprendersi il compenso versato... se la don- na non è operata come si deve. Il valore di una sposa dipende infatti dalla sua verginità e le mgf sono una for- ma di protezione che inibisce nella donna desideri e ten- tazioni di rapporti prematrimoniali, ma che soprattutto la preserva e la difende da violenze e stupri». F ra tanta incertezza circa l’origine del fenomeno del- le mutilazioni genitali domina una certezza: l’ islam non ha nulla a che vedere con la diffusione in territorio africano di questa antica pratica ad esso antecedente. Scrive ancora Carla Pasquinelli: «L’attribuzione che spesso viene fatta all’islam... è probabilmente dovuta al- la facilità con cui si è saputo adattare al tessuto tradizio- nale conformandosi al modo di vita locale. La sua penetrazione, infatti, è stata resa possibile dal- la presenza nelle culture africane di alcuni elementi (co- me le strutture patrilineari e la concezione di Dio fonda- ta su un forte senso di dipendenza), che ne hanno favo- rito l’accettazione, permettendogli di radicarsi nel tessuto tradizionale molto più di quanto non siano riuscite a fa- re le varie chiese cristiane che si sono impegnate alcuni secoli più tardi nell’evangelizzazione del continente afri- cano... Questo diverso atteggiamento della religione islami- ca e di quella cristiana si riflette anche nella percentua- le di donne sottoposte alla mutilazione dei genitali nei due contesti. Le cifre parlano chiaro: mentre in area cri- stiana (dove predomina la clitoridectomia) le percen- tuali oscillano tra il 20 e il 50, in area islamica (in par- ticolare nel Corno d’Africa, dove l’infibulazione è di ri- gore) si toccano punte che vanno dall’80 al 100%. Con il tempo l’identificazione dell’islam con la tradi- zione indigena non ha fatto che rafforzarsi, a tal punto che è stato il maggior responsabile della diffusione del- le mutilazioni genitali femminili fuori dell’Africa, espor- tandole tra l’altro in Indonesia e Malesia». Il prezzo... della sposa

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