Missioni Consolata - Maggio 2002

I l piccolo Tupolev della Dallo Airlines atterra all’aeroporto di Berbera, Somalia del nord, in pieno pomeriggio. Fa un caldo ter- ribile: 50 gradi Celsius, grado più, grado meno. Una voce amica cerca di confortarci: «La depressione del- la Dancalia è una delle zone più cal- de della terra, ma non vi preoccu- pate, domani vi sembrerà di essere nati qui». Ma dopo due giorni di viaggio via Torino, Parigi, Gibuti, Berbera, nulla ha la capacità di confortarci. Sono in compagnia dei tecnici Liborio L’abbate operatore e Anto- nio Venere fonico. Ad accoglierci c’è Stefano Errico, cooperante ita- liano in servizio permanente effetti- vo. Quando si atterra su una striscia di asfalto bollente in mezzo al de- serto, carichi di bagagli, con la pro- spettiva di un controllo doganale a- fricano, sporchi, sudati e stanchi, ci si affida alla «voce amica» come un neonato alla mamma. Riesco a guardarmi attorno, a ren- dermi conto che cavalletto, teleca- mera, cassa luci e affini rispondono tutti all’appello. Davanti al Tupolev noto due signori: bianchi, piuttosto in carne, biondi, con la pelle color aragosta, pantaloni corti, ciabatte infradito e maglietta bianca sdruci- ta della Dallo Airlines . Stefano incrocia il mio sguardo. «Chi sono?» chiedo. «I piloti» ri- sponde. Poi aggiunge: «Avete fatto bene a viaggiare di mattina. Il po- meriggio, in genere, sono ubriachi». Ho voglia di andare a dormire. Ci troviamo in Somalia per girare un documentario sulla guerra in corso. RaffaeleMasto, giornalista di Radio Popolare , e Davide Demiche- lis, regista freelance , sono già stati un paio di volte aMogadiscio. Ame tocca raccogliere mate- riali di contorno, un compito certamente più agevole: la guerra è lon- tana da Berbera. Abbiamo preso allog- gio in questa città, nel compound di Coopi (**), l’Ong italiana che ci aiu- terà nella nostra impre- sa. Esausto sul letto, condizionatore a manet- ta, sfoglio il mio passa- porto. L’ultimo timbro è ancora fresco e recita: «Republic of Somaliland Visa En- try». E qui vale la pena spendere qual- che parola di spiegazione. La Soma- lia è un paese che da alcuni anni vi- ve in una condizione di anarchia to- tale. Senza governo e senza pace. Il nord del paese, già colonia britanni- ca, nel maggio 1992 ha unilateral- mente dichiarato la propria indi- pendenza. Ed è nato il Somaliland . Con tanto di capitale (Hargheisa), un presidente (Egal), un parlamen- to, un esercito, una motorizzazione civile, una bandiera (rossa, bianca e nera), una moneta (lo scellino). Insomma, ci troviamo nell’isola che non c’è; in una nazione che l’O- nu non riconosce e che sull’atlante non esiste. Il Somaliland, però, a differenza del resto del paese è pa- cificato. Qui la guerra è un ricordo. Anche questa «stranezza africa- na» è da documentare. Insieme ai cooperanti costruiamo un piano di lavorazione. Rimarremo in Somali- land due settimane e ci muoveremo tra Berbera, Hargheisa e Boroma, la terza città del paese. Sempre scor- tati da Coopi. Quanto basta per portare a casa materiale sufficiente a completare il nostro documenta- rio. Tutti sono disponibili. Avremmo così visitato i progetti di Coopi. Gi- riamo in lungo e in largo per il So- maliland, raccogliendo materiale sulla guerra ormai conclusa. ABerbera la guerra ha lasciato se- gni profondi, soprattutto sulle per- sone. Anche perché Berbera è il porto più importante del Somali- land, uno dei più trafficati del Golfo di Aden. E la rivolta contro Siad Barre, all’inizio degli anni novanta, è cominciata proprio nell’ «isola che non c’è». Il generale Hersi Morgan ha messo a ferro e fuoco le città principali del nord, nel tentativo di reprimere la rivolta. Oggi Morgan è un potente signore della guerra. Vive nel sud. Qui lo ricordano come «il ma- cellaio di Hargheisa». CORANO... TERAPIA A Berbera c’è un manico- mio. In inglese suona me- glio: Mental Hospital . Lo gestisce la cooperazione i- MISSIONI CONSOLATA 23 MAGGIO 2002 È uno dei paesi che Bush definisce «stati canaglia», perché sospettato di proteggere terroristi. In realtà, la Somalia è un paese in completa anarchia, in balia dei «signori della guerra». Dal 1992, la parte nord si è separata costituendo uno stato autonomo di nome «Somaliland», che ha deposto le armi, ma che il mondo non riconosce. Questi sono gli appunti di viaggio di un regista televisivo torinese, che su Somalia e Somaliland ha girato un documentario. Un vecchio carro armato nei dintorni di Berbera. Pagina accanto: al mercato di Boroma.

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