Missioni Consolata - Aprile 2002

MISSIONI CONSOLATA 72/ IV APRILE 2002 La seguente testimonianza (del 1938) è di madre Quin- tilla Soligo, dapprima missionaria della Consolata e poi fondatrice delle Sorelle apostole della Consolata. Rac- conta un’esperienza nell’ospedale di Mogadiscio in am- biente musulmano. E cco un fatto che dà a sperare per la conversione dei musulmani ed ha una grande importanza per chi conosce a fondo la tenacia fanatica dell’animo del maomettano. Fra i miei ammalati dell’ospedale fu ricoverato, nel mese di ottobre 1938, un giovane di nome Abu Scerif Asceraf («scerif» è un titolo che si dà anche ad un mi- nistro o ad un nobile di stirpe islamica). Egli prestò servizio come «ascaro» presso il governo italiano. Era uno dei migliori somali ed aveva imparato bene la no- stra lingua. Dopo il congedo, servì presso famiglie si- gnorili della colonia in qualità di cuoco. Finché il povero giovane poté lavorare e guadagnare il pane per sé e per la sua famiglia, i parenti gli vollero bene; ma, colpito da tubercolosi polmonare, essi lo al- lontanarono subito da casa e lo portarono all’ospeda- le con l’intenzione di lasciarlo per sempre. La religio- ne musulmana non conosce il sentimento di pietà per gli infelici... Tutte le volte che avvicinavo l’infermo, un pensiero mi perseguitava: «Se lo potessi battezzare!...». Ma parlare di battesimo ad un musulmano non è faci- le; ci vuole una somma prudenza. Gli continuai le mie visite, gli offrii qualche sollievo, lo esortai alla pazien- za e lo raccomandai vivamente a Colui che tutto può. U n mattino trovai Abu aggravato più del solito; mi fece tanta pena e mi allontanai con una grande preoccupazione in cuore. Stavo per uscire dalla corsia quando mi venne l’ispirazione di ritornare al suo ca- pezzale per tentare la difficilissima impresa. Mi avvici- nai e... - Senti, Abu, io ti devo dire una cosa. - Sì, suora; dimmi pure quello che vuoi. - Ascolta, tu sei molto ammalato ed io temo che tu non guarisca più... Il poverino mi guardò stupito e triste. Poi disse: - Devo proprio morire? - Sì, Abu; e dove vuoi andare? Con Mohamed, con Al- lah? - Oh, io voglio andare dove vai tu! Perché tu sei buona e andrai di certo dove si sta bene. Stupita grandemente di tali parole, continuai trepi- dante: - Ma tu credi quello che credo io? - Sì, credo. - Vuoi il segno che ti fa come me? - Sì, lo voglio; fa quello che vuoi, purché io possa andare dove andrai tu. Ad un desiderio così vivo e sincero non seppi resiste- re. Giacché la grazia aveva disposto sì bene quell’ani- ma, lo invitai a chiedere di cuore perdono a Dio; gli feci ripetere con me l’«atto di dolore», il «Padre no- stro» ed altre brevi invocazioni. Infine, tremante e commossa sino alle lacrime, versai su quella fronte l’acqua rigeneratrice del battesimo, pronunciando le parole della formula: «Vittorio, io ti battezzo...». Sì, lo volli chiamare «Vittorio» per la vittoria da Dio riportata su satana, che con tante superstizioni tiene sotto la sua tirannide questo povero popolo. Vittorio mi guardava fisso; teneva le mani giunte: pa- reva estatico. Gli parlai ancora di Dio, dell’anima, dell’altra vita, dove per i buoni cesseranno tutti i do- lori e le malattie e dove essi godranno una felicità e- terna... V enne l’ultima ora, ora che Abu accolse con cri- stiana rassegnazione e direi quasi con gioia. Se- condo il rito islamico, gli doveva essere letto in quel momento il corano; vennero infatti i «santoni». Ma al- la lettura delle prime parole del «vangelo di Moha- med», Vittorio si turbò e implorò il mio intervento con voce fioca ma decisa: «Ma perché mi leggono an- (continua a pagina 75) Somalia 1938 IL BATTESIMO DI ABU Cammelliere somalo oggi. Sotto: la Somalia, colonia italiana, con i missionari e le missionarie della Consolata.

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