Missioni Consolata - Aprile 2002

fettamente come ci si sente, quando tocca a noi essere invasi dagli evan- gelici, che portano via intere comu- nità con campagne sistematiche di proselitismo. CAPIRE LA GENTE Dopo un anno cominciavo a deli- neare i termini del mio essere mis- sionario: accettare ogni novità con impegno ed entusiasmo; accogliere tutti e amarli con tutte le forze. Alla fine del ’68 arrivò aWamba il dottor Silvio Prandoni, per organiz- zarvi un ospedale ideale: ebbi con lui una serie di dialoghi che mi stimola- rono nella ricerca di capire la gente: mi aprivo alla necessità di discorsi antropologici e culturali. Ma il momento cruciale in cui en- trai nel mondo della cultura avvenne il 22 dicembre: dopo la messa, un fabbro samburu , con cui parlavo so- vente su usi e costumi del suo popo- lo, mi chiamò in disparte; mi mostrò un braccialetto di ferro a forma di serpente fatto da lui stesso e, dopo a- verci sputato sopra a lungo con so- lennità, me lo consegnò dicendo: «Da questo momento io e te siamo una sola cosa: tutto ciò che è mio è anche tuo, tu sei mio fratello». Mi commossi e mi sentii inviato e missionario. Ma ignoravo la parte non dichiarata della cerimonia: la re- ciprocità. Inconsciamente afferrai un’altra importante verità: uno deve dare quello che può e aspettarsi al- trettanto. Per fare l’africano avrei dovuto travestirmi; ma riuscii a for- nire vari dettagli della mia vita, ca- paci di farmi riconoscere come ami- co e fratello, senza camuffare limiti e differenze. Volevo capire la vita della gente e conoscere tutto, senza dare giudizi e senza demonizzare nulla. Se qualco- sa mi fosse risultata incomprensibi- le, avrei cercato altri punti, tempi e voci per avere la visione più esatta possibile. Arrivarono i primi cambi e diven- tai missionario itinerante: da Wam- ba aMaralal, poi a Loyangallani e in- fine a Moyale: tutte esperienze che mi aiutarono ad acquisire capacità indispensabili: adattamento, mallea- bilità, creatività, disponibilità. DA MAESTRO A SCOLARO All’inizio del 1970 passai a Mara- lal, con l’incarico di studiare lingua, usi e costumi delle popolazioni del distretto e la supervisione delle scuo- le della diocesi diMarsabit. Nel cam- po linguistico si cominciava da zero: bisognava preparare una struttura grammaticale e glottologica che non è stata ancora raggiunta. Ma la difficoltà più grande era con- vincere i confratelli della necessità d’imparare la lingua per comunicare il vangelo in profondità. Si comuni- cava con fatica usando un kiswahili rudimentale, sufficiente per le attività comuni; ciò faceva scomparire voglia e impegno di studiare seriamente l’i- dioma locale, il samburu . Le scuole erano state nazionaliz- zate; ma potevano conservarne l’i- dentità cristiana, avendo noi diritto di nominare il direttore e un certo numero di maestri. I documenti co- loniali parlavano chiaro al riguardo, ma bisognava cambiare atteggia- mento: bussare, farsi ricevere, chie- dere e inventare linguaggi nuovi nel- le relazioni con chi al mattino si era ritrovato seduto ad una cattedra. Poco a poco ricostruii il dialogo e il riconoscimento reciproco con le autorità: queste avevano bisogno di noi, essendo ancora estranee al mon- do samburu . Mettemmo in atto una strategia raffinata: fare in modo che dessero quegli ordini che una volta venivano da noi. In cinque anni dovetti cambiare molte idee e forma mentale: da mae- stro mi ritrovai scolaro. Fu come ri- percorrere una vita intera. Tornai piccolo per crescere di nuovo, aggiu- stare lamentalità, imparare cose nuo- ve, rivedere con misure diverse giu- dizi e criteri, efficienza ed efficacia. E FU UN CAPOLAVORO Nel 1970 la Saint Mary’s Girls Pri- mary School di Maralal era una scuo- la persa in tutti i sensi: il governo a- veva occupato tutto, scuola e convit- MISSIONI CONSOLATA 51 APRILE 2002 Lungo una strada di Mombasa e, a lato, in una capanna della diocesi di Marsabit.

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