Missioni Consolata - Aprile 2002

za di vario genere. Inoltre, dovevo trovare il mio posto nella “missio- ne”: studiavo la lingua, svolgevo qualche attività da prete e davo una mano nei lavori. Nel febbraio del 1968 l’appren- distato era finito. Il parroco disse che di lingua ne sapevo più di lui e mi buttò in piena attività mis- sionaria: cominciai a visitare i villaggi. Le scuole erano l’atti- vità fondamentale del- la missione, e per- mettevano di crea- re comunicazioni con la gente e portare l’evan- gelizzazione su un piano pos- sibile: quello dei ragazzi. Dai vecchi non ci si aspettava che cambiassero modo di vivere; ma ci aiutavano, ap- provando che i figli ricevessero un’e- ducazione differente. Col passare del tempo venivo a contatto con i veri problemi: contra- sti tra la gente, divisioni tribali, inef- ficienza dell’amministrazione pub- blica e, per completare il quadro, scontri con i missionari protestanti. Le relazioni ecumeniche andavano bene in Europa, molto meno in mis- sione. Presenti nella regione da mol- tissimi anni e forti del patrocinio del- l’amministrazione coloniale inglese, essi si sentivano padroni e ci ritene- vano invasori. Comprendevo il loro risentimento e li compativo. Più tar- di, in America Latina, ho capito per-

RkJQdWJsaXNoZXIy NTc1MjU=