Missioni Consolata - Aprile 2002

I NONNI DI ALDI S ulle Langhe, intorno ad Alba, a- vevo lasciato una fitta nebbia; ad Alessandria, già in pianura, mi ave- va accolto invece un sole splenden- te: strano, per un giorno di novem- bre. Il sole entrava a illuminare an- che lo scompartimento di seconda classe dell' intercity Asti-Bari, in cui mi ero accomodata. Mi colpì subito il vestito, intera- mente nero, di una donna anziana che occupava uno dei sedili accan- to al finestrino. Di fronte a lei, un uomo; di lui notai la pesante giacca di lana e una cravatta nera che, fru- sta com’era, doveva aver visto mol- ti... lutti. Due nonni, come diceva- no i capelli quasi interamente bian- chi e i visi solcati dai segni della vita. Parlavano tra di loro a bassa vo- ce, con dolcezza; lei più a lungo; lui attento, in ascolto, rispondeva con frasi più brevi; lei aveva tra le mani un fazzoletto pronto per essere por- tato agli occhi, che entrambi aveva- no rossi di lacrime versate... Avete mai colto il bello nel suono di ogni lingua? Non riuscivo a de- cifrare una parola di quella conver- sazione, ma il fluire delle parole mi incantava ugualmente. E poi c'era dell'altro: non era un semplice par- lare, ma un sentimento, uno scam- bio di qualcosa che, purtroppo, mi sfuggiva. Di sicuro era una lingua slava. Forse erano polacchi, che an- davano a Loreto a sciogliere un vo- to alla Madonna o a chiedere una grazia. Mi perdonino i fratelli europei o- rientali. Però a me, neolatina, le lin- gue slave sembrano quasi tutte u- guali, mentre sono così diverse! Non saprei dire perché, ma quan- do sono di fronte a degli stranieri, mi scatta dentro un qualcosa che io chiamo «sindrome della padrona di casa»: cioè un vivo desiderio di ac- cogliere, ma anche una volontà di sapere, conoscere. Così, con discre- zione, cercai il dialogo. Non erano polacchi. Venivano dall’ Albània (come essi dicono), e non Albanìa (come diciamo noi). A- vrei dovuto capirlo subito: i capel- li, prima di diventare bianchi, era- no stati neri, non biondi; le loro sta- ture erano basse, i lineamenti sottili e delicati come sono spesso quelli degli albanesi. Il loro italiano era di pochissime parole; ma riuscirono a dirmi che venivano da Asti e anda- vano a Bari, da dove avrebbero pre- Il vasto mondo dell’immigrazione, oltre ai problemi di sopravvivenza, inserimento, lavoro e integrazione, nasconde tra le sue pieghe anche sommesse vicende di affetti. Che, solo a volte (magari per caso), riescono ad emergere. E toccano il cuore. di Rita Viozzi Mattei (*)

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