Missioni Consolata - Marzo 2002

ca. Invece il vescovo Setele dovette presiedere il funerale di 24 vittime della violenza. Nell’omilia raccontò il tragico evento, in controluce con la passione e morte di Cristo . IL MARTIRIO ❐ « Gesù non aveva ancora finito di parlare che arrivò Giuda con una trup- pa armata di spade e bastoni, man- data dagli alti funzionari del tempio e dai notabili del popolo ». Sabato, 21 marzo 1992, ore 15. Si udirono spari di armi leggere, ai qua- li nessuno diede importanza; in stra- da, a quell'ora, potevano esserci at- tacchi a qualche auto di passaggio o spari di militari che, divertendosi col tiro al bersaglio, facevano sentire la loro presenza. La vita del Centro continuò normalmente. ❐ « Ma essi insistevano chiedendo a gran voce che Gesù fosse crocifisso; e le loro grida crescevano ». Poco prima delle 24, i padri An- drea Brevi e John Njoroge, missio- nari della Consolata, e le suore fran- cescane Lucia, Elisa, Teresa e Lurdes, dalle rispettive residenze, sentirono voci concitate provenienti dalle abi- tazioni dei catechisti. Il Centro era circondato da uomi- ni armati che organizzavano per saccheggiare, rapinare, massacrare: tra essi c’erano ragazzi di 10-15 an- ni con le armi in pugno. Parlavano xitshwa, gitonga, changane e porto- ghese. Uno dei comandanti si chia- mava Antonio. ❐ « Gesù, ricordati di me quando sarai nel tuo regno. Egli rispose: oggi sarai con me in paradiso ». Mentre per tutta l’area del Centro riecheggiavano spari, si udirono col- pi alle porte e finestre delle resi- denze dei catechisti: «Apri! Esci!». Furono uccisi i catechisti Faustino Cuamba e Carlos Mukwanane, che avevano tentato la fuga attraverso i campi di manioca e arachidi. Il recinto fu accerchiato e invaso. Gli assalitori, strappate le reti dalle finestre e rotti i vetri, entrarono nel- le case gridando: «Prendiamo questi uomini! Togli quel fardello! Carica questo sacco!». Minacciavano chiun- que incontravano, puntando loro le armi alla testa. ❐ « Vicino alla croce di Gesù stavano la madre e la sorella di sua madre, Maria, moglie di Cleofa, e Maria di Magdala ». L uisa Mafo era straordinaria. Si distingueva nella co- munità, non perché moglie del catechista, ma per la simpatia e sensibilità: era molto attenta alle altrui ne- cessità. Se non vedeva una famiglia alla celebrazione do- menicale, s’informava prontamente cosa fosse capitato. E se la causa dell’assenza era dovuta a qualche malattia, invitava la comunità ad aiutare la famiglia con la pre- ghiera e opere di solidarietà. Nella comunità svolgeva il ruolo di madre: nei momenti difficili esortava i fedeli ad avere fiducia e pregare molto, anche in famiglia. Una domenica la catechista Luisa aveva accompa- gnato il missionario per celebrare la messa nella mia co- munità; i miei genitori non si recarono in chiesa, perché ero malata e, secondo loro, senza speranza. Nella tarda mattinata venne lei a casa mia per pregare e confortare i genitori. Arrivò anche il missionario, che mi ammini- strò il battesimo e l’unzione degli infermi. In seguito i ge- nitori mi dissero che, dal momento di quella visita, ave- vo cominciato a migliorare e il giorno seguente avevo ri- preso a parlare. Quando Luisa venne a conoscenza della mia guarigione, affermò che Dio mi aveva salvata ed era a Lui che avrei dovuto consacrarmi. «Con questo segno Dio ti dice che ha bisogno di te» mi disse. I miei genitori non credevano che avrei recuperato completamente la salute; per questo non fecero caso al- le sue parole e non parlarono mai con nessuno dell’ac- caduto. Solo in seguito, quando manifestai il desiderio di diventare suora, si ricordarono delle sue parole. G li anni passavano e la situazione causata dalla guer- ra peggiorava. La famiglia di Luisa fu una delle pri- me a lasciare la terra natale per la città di Massinga. Mol- ti cristiani trascorrevano la notte in casa sua e, durante il giorno, tornavano nei propri villaggi a lavorare i cam- pi e procurarsi gli alimenti necessari. Essa accoglieva sempre tutti con amore, nonostante la disapprovazione del marito. Diceva: «La situazione è difficile; ma non sco- raggiatevi, perché ciò che abbiamo lo condivideremo». La sua simpatia e disponibilità attiravano molte per- sone. Fu così che crescemmo insieme, come cristiani e come famiglia. P rima di partire per il Guiúa, la comunità fece per lei e la sua famiglia una grande festa. Si cantò e si bal- lò; ma il volto di Luisa rivelava una grande tristezza. Chie- se un momento di silenzio; poi raccontò di aver fatto un sogno: «Fratelli miei, ho pregato molto, perché questo è un momento difficile nella mia vita. Vado al Guiúa per volontà di Dio, ma un sogno fatto ieri mi ha turbata. Due scene ho davanti a me: una bella, piena di cose allegre; ma nell’altra ho visto la croce di Cristo. Per questo, fra- telli, ho pregato molto, perché sento che questa è l’ulti- ma volta che ci vediamo». Tutti i presenti rimasero turbati e le dissero, pian- gendo, di non partire. Ma essa non tornò sulla sua deci- sione. La notizia del sogno si diffuse in tutta la comunità. Alcuni giorni dopo, presi con sé un figlio e il nipoti- no di cinque anni, partì per Guiúa. Desiderava far co- noscere loro il luogo dove, in caso di necessità o malat- tia, avrebbero potuto rintracciare lei e il marito. Atten- davamo il ritorno del figlio; invece ricevemmo la notizia della morte di tutti e tre; allora tutti ricordammo il sogno di Luisa. Nessun cristiano che l’abbia conosciuta potrà mai di- menticare questa figura: in particolare, il suo presenti- mento e la lettura dei fatti accaduti alla luce della fede. Io sono sua figlioccia di cresima e la considero una donna forte e santa, per ciò che ha rappresentato nella mia vi- ta e in quella di molti altri. Sono certa che vicino a Gesù, che l’ha scelta, inter- cede per noi e spero che la chiesa riconosca la figura di questa martire di Cristo e dei fratelli. suor Emilia Arlando Zunguze 36 MARZO 2002 CONSOLATA MI SS IONI il sogno premonitore

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