Missioni Consolata - Febbraio 2002
di proporre dei valori. Ad esempio, quando si tratta di far nascere un fi- glio, i papà se ne disinteressano; la reputano una questione da donne. Nell’emergenza devi occuparti del- la mamma e del bambino, e poi del papà. Noi cerchiamo di fare le due cose contemporaneamente». Così, oltre a formare il personale, equipaggiare i reparti di maternità e assistere le madri durante il parto, i volontari di Family care incontra- no anche i padri e chiedono loro di partecipare a tutte le fasi della na- scita dei loro figli. Antonio presenta il suo lavoro co- me un tentativo per ridare dignità al- la persona. «Per un direttore d’ospedale, che occupa questo posto perché messo dai politici, il paziente è solo un mezzo per ottenere soldi, oppure un onore. Ad una madre (che può sen- tirsi dire: “Dammi 50 dollari, altri- menti non ti faccio nascere il fi- glio”), noi facciamo capire che a lei teniamo. Le offriamo una struttura che non risponda solo al bisogno di assistenza medica, ma che vuole es- sere accogliente, curata nei partico- lari. Mettiamo molta energia per fa- re dei nostri reparti dei luoghi gioio- si, dove si stia bene. L’attenzione al- la persona e la cura delle cose può contribuire a cambiare la mentalità, se le porteranno con sé quando ri- torneranno a casa. D’altra parte, è proprio quando ci sentiamo guar- dati con rispetto che ci accorgiamo del nostro valore. Bisogna risveglia- re nella gente la coscienza della pro- pria dignità e dei diritti, che hanno perso». La non certezza del diritto e il di- sprezzo da parte di coloro che rico- prono cariche pubbliche sono una triste realtà quotidiana nelle ex re- pubbliche sovietiche. E l’Armenia non fa eccezione. LA GENTE SE NE VA Fra tanti guai, l’Armenia deve fa- re i conti anche con la sua posizio- ne geopolitica, essendo circondata da musulmani con cui ha sempre a- vuto rapporti difficili. Però, attual- mente, sono migliori le relazioni con l’Iran degli ayatollah che con la cristiana Georgia, per una disputa territoriale che rischia di rendere molto precario il confine tra i due paesi e aggravare ulteriormente una situazione pesante: l’Armenia vive già in uno stato di semi-isolamento, con le frontiere turca e azerbaigia- na chiuse. L’unico confine tranquil- lo è quello iraniano, ma si tratta di pochi chilometri. Quale futuro per l’Armenia? È una domanda che sorge naturale gi- rando per le strade semideserte di Erevan. Il futuro di un paese di- pende dai suoi abitanti. Ma gli ar- meni se ne stanno andando, prefe- riscono spendere il proprio talento ed energia all’estero, piuttosto che in patria. Come si fa a non capirli? La vita di un uomo è breve e chis- sà quanto tempo ci vorrà prima che la ruota della storia compia il suo gi- ro e restituisca al paese pace e pro- sperità. Chi ha voglia di bruciare i propri anni a faticare per un risul- tato che, forse, vedranno solo le ge- nerazioni future? Eppure qualcuno continua a spe- rare e a credere. Simbat, un armeno dolente, come tanti altri da me in- contrati, è convinto che l’Armenia stia solo attraversando un brutto momento, ineluttabile, ma passeg- gero. Egli vive a Teheran (Iran) e vorrebbe tornare in patria: uno dei pochi. Prima, però, deve trovare la- voro, impresa oltremodo difficile. Gli auguriamo con tutto il cuore che ce la faccia. E che il tempo gli dia ragione. Mc L‘articolista (a sinistra) con l’amica armena Aida, residente in Iran. «Khachkar» in riva al lago Sevan. Sono pietre (anche) votive, con croci finemente scolpite, simbolo della religiosità armena.
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