Missioni Consolata - Febbraio 2002
42 APRILE 1998 CONSOLATA MI SS IONI 42 FEBBRAIO 2002 CONSOLATA MI SS IONI E il burqa ? Per Shamsia e Rahima non è la priorità, come lo sono in- vece l’educazione e il lavoro. Ri- spondono con una certa insoffe- renza, stanche che molti occiden- tali vedano nel burqa il simbolo dell’oppressione. Naturalmente non lo portavano prima dell’av- vento dei talebani, ma ora è diven- tato un modo per garantirsi la sicu- rezza. E c’è da giurare che non sa- ranno di certo i mujaheddin dell’Alleanza a garantire alle donne la libertà di decidere se portarlo o no. DOPO IL BURQA, I DIRITTI Molte donne afghane non vo- gliono più attendere. Cinque anni di burqa sono troppi e la fuga dei talebani può segnare l’inizio del ri- scatto. Non è semplice nel mo- mento in cui le paure e le incertez- ze sono tutt’altro che fugate, ma non c’è tempo da perdere. Mentre le strade del bazar di Ka- bul sono invase dalle paraboliche televisive (che dovranno però aspettare per essere messe in fun- zione, visto che Kabul è da un paio di giorni senza elettricità) e si fa la coda per il biglietto di fronte al pri- mo cinema che riapre i battenti (trasmetterà un film indiano), l’u- nione delle donne afghane ha deci- so di uscire dalla clandestinità. Ieri ha indetto una manifestazione sen- za burqa davanti alla sede delle Na- zioni Unite, per rivendicare i dirit- ti delle donne al lavoro, all’istru- zione, alla partecipazione alla vita politica, transizione compresa. Ma, all’ultimo momento, non meglio precisate «autorità» hanno consi- gliato all’organizzazione di rinviare la manifestazione davanti alla sede Onu. Forse si terrà la settimana prossi- ma. Ma i mezzi di comunicazione in Afghanistan non funzionano e il tam tam era già in moto. Quindi molte donne hanno mantenuto l’appuntamento, impazienti di ave- re il pretesto per uscire senza quel- la copertura, che per anni le ha co- strette a vedere, non viste, unmon- do a quadrettini. Le abbiamo incontrate lungo la strada che por- ta al quartiere di KunaMakroriana , in piccoli gruppi, con e senza bur- qa . Donne giovani e meno giovani, che hanno vissuto lavorando sino a cinque anni fa. «Per tornare a casa lo rimettia- mo. Non ci fidiamo a girare da so- le senza burqa » confida un grup- petto. Lungo il tragitto al corteo si uniscono anche uomini, con la bar- ba finalmente rasata, alcuni perché condividono la scelta di queste donne, altri per semplice curiosità. Amira ha 70 anni. Ha vissuto tut- te le guerre del suo paese, perden- do nei vari conflitti quasi tutta la sua famiglia, ma non si arrende. Vuole il riconoscimento dei diritti delle donne e per questo chiede la formazione di un governo rappre- sentativo di tutte le forze del paese. «Che cosa manca a questo gover- no?» la rimbrotta uno dei poliziot- ti, che ha redarguito ripetutamen- te le donne a non parlare in quel modo del burqa e delle tradizioni perché va contro le tradizioni del paese. «È contro i diritti delle don- ne» è la pronta replica. E se tor- nasse il re? «Sarei felice» risponde Amira. «Voglio un governo rappresen- tativo, senza le interferenze del Pakistan» aggiunge Zeineb, inse- gnante quarantenne (finché non sono arrivati i talebani). SORAJA, UNA DONNA DECISA Le donne senza burqa aumenta- no man mano che ci avviciniamo a Kuna Makroriana , un quartiere co- struito dai sovietici e ora completa- mente degradato. Era sulla linea del fronte durante gli scontri fra il generale Dostum e il comandante Massud, asserragliati in edifici a po- ca distanza; e, anche dopo che «il leone del Panshir» si era trasferito al di là del fiume, le case di Kuna Makroriana avevano continuato a essere sotto tiro. Ci infiliamo in una stradina di uno dei blocchi formati da palaz- zoni fatiscenti. In uno di questi vi- ve Soraja Parlika, già dirigente del «Partito democratico del popolo dell’Afghanistan» (comunista) ai tempi di Najibullah, quando era anche presidente della «mezza lu- na rossa», finché non sono arrivati Sotto: una giostra improvvisata per le strade di Kabul. A lato: volti di bambine nell’orfanotrofio della capitale.
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