Missioni Consolata - Febbraio 2002

alle donne, poi furono ricavati de- gli spazi a loro dedicati. Un’amica giornalista italiana, che per girare inosservata (per quanto sia possibile a degli occidentali), ha scelto di muoversi sempre con un velo sulla testa, ci racconta: «Tre anni fa avevo trovato a Kabul una situazione disastrosa: nel reparto di ginecologia di un ospedale le don- ne venivano dimesse circa un’ora dopo il parto (quasi certamente si trattava di situazioni complicate, al- trimenti non avrebbero fatto ricor- so alla clinica, ndr ), per lasciare il posto ad altre donne in attesa (a volte già con le doglie) sulle panche di legno nel cortile dell’ospedale». La strada che porta all’ospedale Rabia Balki è affollatissima, frotte di donne, con il burqa alzato sulla fronte, si accalcano contro il por- tone di ferro che separa la strada dal cortile dell’unico ospedale per donne di Kabul. In realtà ce n’è un altro, ma solo per problemi gine- cologici. Questo, invece, tratta tut- te le patologie e c’è anche un re- parto chirurgico. È un grande edi- ficio (un po’ fatiscente, ma abba- stanza pulito), suddiviso in stanze con 6/8 letti ciascuna, sala opera- toria, ambulatori, 65medici (tra cui 5 maschi) per un totale di 250 de- genti. Shamsia, camice rigorosamente bianco e velo trasparente viola, è una delle chirurghe. È arrivata al- l’ospedale due anni fa, appena fini- ti gli studi. Ha frequentato, all’uni- versità di Kabul, l’unica facoltà ri- masta aperta alle donne: quella di medicina, indispensabile visto che le pazienti possono essere visitate solo ed esclusivamente da altre donne. Anche se adesso in questo ospedale si fa un’eccezione per i 5 medici maschi. Rahima è invece la direttrice sa- nitaria e medico internista. Sham- sia e Rahima dicono di non aver mai avuto particolari problemi per il loro lavoro in ospedale. I proble- mi con i talebani erano quelli di tut- te le donne afghane. E ora? Per lo- ro non è cambiato nulla con l’arri- vo a Kabul degli uomini dell’Al- leanza del nord, ma sperano in un cambiamento. E sono in spasmo- dica attesa dei risultati della confe- renza di Bonn (conclusasi con un accordo lo scorso 5 dicembre, ndr ), anche se l’Onu ha già fallito molte volte nel tentativo di trovare una soluzione per l’Afghanistan. Che cosa si aspettano? «Un go- verno rappresentativo di tutti, che possa portare la pace» dice Rahi- ma, mentre Shamsia concorda. Con la partecipazione dei talebani? «Devono partecipare tutti, tranne i gruppi armati che hanno combat- tuto per 23 anni (sia talebani che mujaheddin ) distruggendo il paese. Sono loro i responsabili di questa catastrofe, quindi devono restare fuori dal governo». «Assistiamo ad un groviglio di ipocrisie e di contraddizioni. Esprimo certo esecrazione per il massacro dei civili a New York, però non riesco a vedere gli Stati Uniti come campioni di morale . Sono sempre stati filo-islamici, alleati dell’Arabia Saudita che calpesta i diritti umani infliggendo gravi pene a chi porta con sé una bibbia o celebra messa nel chiuso di una stanza. Mai hanno levato la loro voce contro il genocidio dei cristiani nel Sudan. Ora si muovono perché sono stati colpiti direttamente». (Vittorio Messori, su «la Repubblica» del 24 dicembre 2001)

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