Missioni Consolata - Febbraio 2002
37 APRILE 1998 CONSOLATA MI SS IONI 37 FEBBRAIO 2002 CONSOLATA MI SS IONI la polvere con le sue scarpe bianche, unica parte visibile sotto il burqa . LE BOMBE «INTELLIGENTI» I soldati dell’Alleanza del nord cominciano a farsi più rigidi con i giornalisti occidentali. Ci negano il permesso di fotografare alcuni car- ri armati talebani bombardati dagli americani, ci impediscono di vede- re alcuni prigionieri arabi e pakista- ni, rinchiusi in un container , nel mezzo di una delle basi. Dietro la vittoria dell’Alleanza ci sono i bombardamenti anglo-ame- ricani, che hanno lasciato il segno, e non solo sulle basi militari. Nei pa- raggi di questi obiettivi molte case civili sono state distrutte. Errori? C’è chi li ammette e chi no. «Non posso giustificare un erro- re che ha ucciso tutta la famiglia di mio fratello» ci dice Abdul. «La ca- sa è stata colpita durante i primi bombardamenti - spiegano alcuni vicini -. Erano da poco passate le ot- to quando, all’improvviso, l’esplo- sione: 9morti e 12 feriti». «Mio fra- tello non ha mai avuto nulla a che fare con i talebani era un semplice maestro» racconta Abdul. Ma le bombe, si sa, non guardano in fac- cia nessuno. Molte sono le zone di Kabul col- pite dai bombardamenti. Vicino al- l’ Hotel Continental , dove alloggia- no la maggior parte dei giornalisti, nella zona di Karte Parvan, si trova una villa che era stata donata dal re ad uno dei suoi consiglieri più fida- ti. Negli ultimi anni la villa era di- ventata la base di alcuni arabi e per questo sarebbe stata bombardata. Sotto il buco nel tetto ci sono anco- ra i resti del missile «intelligente» lanciato dagli americani. Alcuni mujaheddin stanno ripu- lendo lo stabile. Ci dicono che in- tendono farvi una guest house per il ministero dellaDifesa. Ma il fatto di essere tornati grazie alle bombe americane non vi reca qualche im- barazzo? Ci rispondeQuasim, ven- tiduenne capo militare dell’Amirat del Panshir, evidentemente soddi- sfatto di essere tornato a Kabul: «Certo, le bombe americane ci han- no aiutato. Hanno colpito i terrori- sti, nemici dei musulmani, del no- stro paese nonché dell’umanità in- tera». Invece sulla sorte di possibili prigionieri preferisce lasciare la ri- sposta ai suoi superiori. Da ieri mattina è cominciato l’at- tacco a un migliaio fra talebani e arabi che si sono raggruppati aMai- dan Shar, una quarantina di chilo- metri a sud-est di Kabul. Un punto strategico per entrambi i conten- denti, poiché qui passa la strada che porta ad Herat e Kandahar. Il co- mandante Haji Shirihalam, in un improvvisato incontro con i giorna- listi, dichiara: «Abbiamo negoziato per 10 giorni. Alla fine, lunedì scor- so, i talebani sono venuti a dirci che si sarebbero arresi e che avrebbero consegnato le armi. Ma così non è stato e noi questa mattina abbiamo attaccato». Il problema è che qui, come in al- tri posti del paese, i talebani sareb- bero anche disposti ad arrendersi, ma gli arabi e i pakistani che sono con loro si oppongono, ben sapen- do che a loro spetta la sorte peggio- re. Fra i talebani afghani è quasi su- bentrato un sentimento nazionali- sta, essendo consapevoli del fatto che per loro le pene saranno miti, sempre che siano puniti. Guljan, trentaduenne studente di teologia, come ama definirsi, ci di- ce: «Per il mio paese io voglio solo la pace». Discute tranquillamente con alcuni soldati dell’Alleanza, tra sorrisi ed abbracci da vecchi amici ritrovati. «Era nostra intenzione ar- renderci, ma gli stranieri ce l’hanno impedito». Sanno di non avere via di scampo, che non possono certo tornare a casa. I combattenti stra- nieri sono stati i primi ad essere pas- sati per le armi dai mujaheddin , quando sono stati intercettati, men- tre sembra che in alcuni casi, come a Kunduz, siano stati gli stessi stra- nieri ad uccidere i talebani che vo- levano arrendersi. Torniamo verso Kabul, lungo la strada che è un continuo sali e scen- di. Ai lati viene continuamente se- gnalata la presenza di mine. Appo- stati nei luoghi strategici, i mujahed- din scrutano l’orizzonte o formano i posti di blocco, che qui sono più numerosi che altrove. L’ impatto con l’entrata sud della capitale è assoluta- mente impressionante: una città completamente devastata, ma- cerie su macerie. Superata la parte distrutta durante i 20 anni di guer- ra civile, l’altra, quella sopravvissu- ta, sta chiudendo i battenti. In tempo di ramadan , al calar del- la sera comincia la corsa verso casa per l’agognato pasto dopo il lungo digiuno. Cosa troveranno sulla ta- vola i milioni di afghani che vivono solo degli aiuti umanitari? Intanto, al mercato di Kabul, i prezzi dei be- ni alimentari sono in costante au- mento. Succede sempre durante il mese di ramadan , ma oggi, in più, ci sono la guerra e gli stranieri.
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