Missioni Consolata - Febbraio 2002

4, numero sacro che rappresenta i 4 punti cardinali a simboleggiare la totalità del potere curativo. Se ad esso si aggiungono le due direzioni, alto e basso, ecco che anche il 6 diventa un numero di grande importanza. C’è il 7, rappresentante del ciclo ebdomadarico del tempo. Da qui l’attenzione ad assumere i rimedi e a celebrare i rituali in date «numericamente» propizie dei calendari solari o dei quarti lunari e, per le donne, del ciclo me- struale. Quando, come, dove Se la posologia (l’aspetto che regola la quantità e la modalità di assunzione di un farmaco) è una questione di occhio o di mano, in cui la quantità degli ingredien- ti delle varie pozioni viene misurata in maniera un po’ approssimativa (si va dal pizzico, alla manciata o a «qualche goccia»), per l’africano ha invece molta im- portanza la determinazione precisa sul come e dove le pozioni debbano essere assunte. Ebbene, come disporsi con il corpo rispetto al sole o alla luna? Come celebrare il rito seguendo una preci- sa successione di gesti e invocazioni. E dove? Nel cen- tro del villaggio, davanti a tutti, o piuttosto nel fitto del- la foresta, da soli o con lo stregone? Medicina senza limiti o confini Il concetto di medicina per gli africani è, quindi, mol- to variabile e assai più ampio di quello inteso da noi. La medicina in Africa non è solo la sostanza capace di far passare un dolore, una malattia, ma è anche la pozione che placa gli spiriti cattivi che impediscono a una ma- dre di avere figli, che portano un marito o una moglie all’adulterio. Medicine sono i filtri d’amore che fanno conquistare la donna o l’uomo di cui si è segretamente innamorati; sono anche le offerte di distillati o impia- stri per il feticcio del villaggio, affinché propizi un buon raccolto o protegga dalle calamità. Sì, perché di fatto, in Africa, non esiste una separa- zione tra le cosiddette «piante officinali» e quelle nor- mali o alimentari come il mais, il peperoncino o la pa- tata. Tutto può essere medicina per l’africano, perché egli si sente al centro tra quel cosmo animato da spiriti e creature, che è aldilà, e quella natura, benefica o ter- ribile secondo le circostanze, che è la terra con i suoi elementi viventi o inanimati. Qualcosa da imparare? In una società come quella occidentale, in cui si eleg- gono a modello soprattutto gli aspetti esteriori della vi- ta (bellezza, forza, imponenza), l’Africa insegna a non perdere il senso interiore e spirituale dell’esistenza uma- na, di ogni suo momento: in particolare di quelle fasi critiche, come la malattia e la morte, con cui tutti ci tro- viamo a fare i conti. La medicina moderna si trova ormai ad affrontare con grande disagio la quotidiana lotta contro la malat- tia e un frustrante senso di impotenza verso la morte. Si sta giungendo a un pericoloso bivio: da una parte, c’è il rischio di eccedere in attenzione verso un modello di freddo e tecnologico efficientismo e, dall’altra, c’è la chiusura a riccio in una corazza di superficialità e cini- smo di fronte alla malattia e alla morte, al punto da far- le diventare tabù. In entrambi i casi il risultato è una spersonalizzazio- ne del rapporto tra malato e medico ed una estranea- zione al coinvolgimento e a quella empatia che sono gli elementi basilari del rapporto umano. La scienza medica e la farmacopea occidentali sono di enorme aiuto nella cura di tante malattie che afflig- gono il continente africano e nel superamento di nu- merosi pregiudizi che, spesso, ne sono la causa: per esempio certe forme di mutilazioni neonatali o femmi- nili, le malnutrizioni infantili... Ma altrettanto importante è il messaggio di umanità e riappropriamento di valori umani che l’antica sag- gezza africana può ancora offrire a noi. MISSIONI CONSOLATA 21 FEBBRAIO 2002

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