Missioni Consolata - Gennaio 2002
MISSIONI CONSOLATA 61 GENNAIO 2002 R iflettendo sulla «morte dol- ce», mi sono venute in mente alcune morti alle quali ho as- sistito personalmente ed altre su cui ho provato a ragionare. È vero: la morte è morte e basta. Ma così, quasi per vezzo, ho prova- to a mettere ordine alla mia espe- rienza dando un aggettivo ad alcu- ne di esse. L’ho fatto, come mia abi- tudine, parlando prevalentemente di cose concrete e senza pretendere di dare giudizi, che non competono a nessun medico. Noi medici, in fondo, siamo solo persone che ac- compagnano la vita di ciascuno sul- la base della cultura della comunità, della tecnologia a disposizione, del- la porzione di finanziamenti messa- ci a disposizione dalla società e dal- l’intuito che a volte accompagna i migliori di noi. LA MORTE PRIMA Il mio primo morto lo ricorderò per sempre. Viveva in un isolato all’altro lato della piazza del quartiere di Villa El Salvador (Perù) nel quale da poco mi ero trasferito provenendo diret- tamente, e fresco di studi universi- tari, da Roma dove ero cresciuto ed avevo studiato. Saranno state le due o tre di not- te e sentii bussare freneticamente al- la porta. Mi alzai e, rendendomi conto dell’agitazione della persona che mi cercava, mi infilai un paio di pantaloni e, con la borsa da medico alle prime armi, le corsi dietro. Era già morto (probabilmente un infarto). Tutti mi chiedevano di fa- re qualche cosa e, nella coscienza di ingannare me stesso e gli altri, ini- ziai un inutile tentativo di massag- gio cardiaco. La gente, sicuramen- te più cosciente di me dell’inutilità di quanto stavo facendo, mi incita- va a continuare gridando disperata- mente il nome del morto, sperando forse in unmiracolo. Aveva una cin- quantina d’anni e morire a que- st’età, lasciando moglie e figli, era percepito come un tradimento. Quella morte non doveva succede- re. Ma la morte (probabilmente) è indifferente alla volontà dei vivi. LA MORTE FALSA Un’altra volta, sempre di notte, mi chiamarono (perché mai si muo- re più spesso di notte?) perché un giovane era moribondo. Corsi come sempre disarmato e mi trovai nel bel mezzo di una festa a base d’al- cool, con la musica assordante che continuava ad uscire da uno sgan- gheratoma efficiente stereo e con la gente che urlava, minacciandomi. Un giovane apparentemente in co- ma era disteso su di un letto, cir- condato da familiari ed amici. Mi misi ad urlare più di loro, cac- ciai via tutti e, non ricordo come, riuscii a fargli vomitare i litri d’al- cool che aveva in corpo. Venni trattato come il più grande medico, ma non ne fui orgoglioso. LA MORTE IMPROVVISA Mi lasciòmolto perplesso trovare un bambinomorto, quella volta che mi chiamarono (sempre di notte). Erano due gemellini; uno di loro si era addormentato senza risvegliar- si. Morte improvvisa? Il bambino era ben curato, di po- co più di un anno, grassottello, i li- neamenti sereni. Sembrava addor- mentato. LA MORTE PRIMA DELLA NASCITA Era buio, ma non ancora notte. Il bambino era nato morto in una ba- racca, forse assistito da una partera , che nulla aveva potuto fare. In realtà, il bimbo era già morto nel- l’utero. Mi chiesero di non fare alcun cer- tificato, perché non avevano i soldi per portarlo al cimitero ufficiale. Non lo feci e quel bimbo (che mai era nato) non morì mai. LA MORTE INGIUSTA 1 (UNA DELLE TANTE) Arrivò correndo al mio ambula- torio una madre con un involtino fra le braccia. Tutti i pazienti in at- tesa urlarono che c’era un’emer- genza e la donna appoggiò il fagot- to sul lettino e, aprendolo, scoprì il corpicino di un bimbo denutrito ed ormai freddo. Huariaca (Perú): candele e fiori davanti al cadavere del defunto. A destra: musica al cimitero di Lima-Villa Maria.
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