Missioni Consolata - Gennaio 2002

innevate e dirupi danteschi. «Ho vi- sitato di persona zone remote dove nessun prelato o visitatore è mai en- trato, per cammini molto scoscesi, attraverso i fiumi, affrontando tutte le difficoltà e, talvolta, privo di letto e di cibo» sintetizza con semplicità le sue epiche gesta nel 1589 in una lettera a papa Clemente VII . Non si stancavamai di predicare e istruire sia spagnoli che indios nelle rispettive lingue. La sera annotava tutto nel diario: abitanti dei singoli villaggi e loro tradizioni, situazione economica e religiosa delle doctrinas , numero di battezzati, cresimati e sposati, progetti di nuove missioni e opere di promozione umana... situa- zione dei missionari, soprattutto. Strigliava i doctrineros se non co- noscevano a sufficienza la lingua del- la loro gente; incoraggiava quelli af- faticati; correggeva i loro abusi. Non era affatto tenero con gli spagnoli che sfruttavano gli indigeni con la- vori massacranti nelle miniere, fab- briche tessili e fattorie agricole. Tutti gli indios lo veneravano co- me un padre, anche se il gruppo dei quive , sempre in guerra con i coloni, lo chiamavano «il nasone», per il suo naso alquanto lungo e curvo. UMILIATO In regime di patronato, in cui non era facile distinguere il confine tra in- terferenze politiche e libertà della chiesa, Toribio mantenne una posi- zione di grande equilibrio, evitando ogni conflitto e informando regolar- mente sulla vita e problemi della chiesa sia i pontefici e dicasteri ro- mani sia Filippo II , che nutriva per lui una stima viscerale. Tale amicizia suscitò l’invidia del viceréGarcia deMendoza. Vanitoso e violento, costui non perse occasio- ne per intromettersi negli affari della chiesa e ridicolizzare il vescovo, fino a montare una campagna diffamato- ria davanti al re e al Consiglio delle Indie. Per cinque anni (1590-95), con una pioggia di lettere, Garcia accusò Toribio di trascurare la diocesi, es- sendo sempre in giro; di sfruttare gli indigeni e non correggere certi abu- si; di rastrellare tributi e ammini- strarli con poca trasparenza; di infi- schiarsi dei decreti regi e mancare di gratitudine al monarca. Suggerì per- fino di rimuoverlo da Lima. Filippo II conosceva troppobene il suo pupillo per credere alle accuse, finché cambiò umore per un banale equivoco, nel 1591. In una lettera al papa Toribio si lamentò che un ve- scovo avesse abbandonato la sua diocesi per trasferirsi in un’altra pri- ma di ricevere i decreti papali. Da Roma la lagnanza fu girata al mo- narca in questi termini: «I vescovi delle Indie prendono possesso delle loro chiese senza bolle papali». Filippo si sentì pugnalato alla schiena. Ordinò al viceré di costrin- gere il vescovo a ritrattare pubblica- mente la menzogna. Mendoza non aspettava altro per prendersi una ri- vincita. Nel 1594, senza attendere la risposta alla lettera di spiegazione che il prelato aveva inviato al re, Mendoza lo costrinse a interrompe- re la visita pastorale per trascinarlo in tribunale e umiliarlo davanti a spa- gnoli e indiani: Toribio diede prova di tale serenità e santità, che a per- dere la faccia fu solo il viceré: questi l’anno seguente fu rimosso dall’in- carico, mentre Filippo II rinnovava tutta la sua stima per il vescovo. ULTIMA TAPPA All’inizio del 1605Toribio iniziò la sua terza e ultima grande visita nella regione della costa settentrionale. L’anno seguente, a Trujillo, comin- ciò a sentirsi stanco. Tutti lo sconsi- gliarono di proseguire il viaggio in una zona tantomalsana e torrida, ma volle ugualmente raggiungere la bor- gata di Saña. Sentendo ormai la fine, chiese il viatico. Non volle riceverlo in casa del curato, ma nell’umile chiesa de- gli indios . Poi pregò l’agostiniano fra’ Girolamo di cantargli alcuni salmi, accompagnandoli con l’arpa, men- tre il santo vescovo fissava dolce- mente il crocifisso e le immagini dei santi Pietro e Paolo, suoi patroni da vescovo e missionario, finché spirò tra singhiozzi e lacrime di familiari, neri e indiani. Era giovedì santo: 23 marzo 1606. Una vita tanto austera e sacrificata si concluse alla stessa stregua: « Inedia confectum » (morto di fame) decretò il dottore che ne constatò il decesso. Innocenzo XI lo beatificò nel 1679 e Benedetto XIII lo canonizzò nel 1726. Nel 1983 Giovanni Pao- lo II lo dichiarò «patrono dei ve- scovi latinoamericani». Più elo- quenti sono i cinque santi fioriti a Lima al tempo di Toribio, quattro dei quali cresimati dallo stesso san- to: san Francesco Solano (1549- 1610), sanMartino de Porres (1579- 1639), beato Giovanni Macias (1585-1645), santa Rosa da Lima (1536-1617), beata Anna degli Angeli de Montea- gudo (1602-1686). MISSIONI CONSOLATA 52 GENNAIO 2002 Mc Chiesa di san Domenico (Lima): vetrata con san Martino de Porres e santa Rosa, contemporanei di san Toribio.

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