Missioni Consolata - Gennaio 2002
(Trujillo e Arequipa esistevano solo sulla carta); ad essi si aggiunsero i su- periori degli ordini religiosi, tra i qua- li si distinse il gesuita José de Acosta, primo grande teologomissionario in America. Fin dall’inizio il giovane vescovo, presidente del Concilio, si trovò tra le mani una patata bollente che ri- schiò di far chiudere i battenti: una relazione del capitolo ecclesiastico di Cuzco accusava il proprio vescovo di esosità, simonia e traffici di coca... «Sono perseguitato di poteri civili ed ecclesiastici» diceva il vescovo in- criminato, minacciando di abban- donare l’assemblea insieme ad altri padri conciliari suoi sostenitori. To- ribio riuscì a scaricare la tensione, suggerendo di fare altre investiga- zioni. Nei momenti più difficili, co- me pure durante tutto lo svolgimen- to dell’assise, Toribio emerse per le sue eccezionali qualità di prudenza e ostinazione, intelligenza e santità. Così la discussione e approvazione dei decreti, preparati e redatti in an- tecedenza da Acosta, poterono ini- ziare e proseguire fino alla fine del Concilio (ottobre 1583). I padri conciliari approvarono 111 capitoli, brevi e pratici, senza pream- boli teologici e fronzoli retorici; essi furono poi ripresi in tutti i sinodi ce- lebrati nelle varie diocesi e costitui- rono la base dell’organizzazione in- terna, canonica e pastorale della chiesa sudamericana per oltre tre se- coli: cioè fino al Concilio plenario la- tinoamericano, celebrato a Roma nel 1900. Ancora oggi, quando si fa ri- ferimento al III Concilio di Lima, lo si cita come il «Sinodo limense» per eccellenza. Per aggiornare e completare l’or- ganizzazione della chiesa sudameri- cana, Toribio convocò altri due con- cili, nel 1591 e 1601. E per tradurli in pratica nella sua diocesi, radunò ben 12 sinodi, alcuni a Lima, altri ne- gli angoli più remoti del Perú. PROTETTORE DEGLI INDIOS Toribio impresse al Concilio li- mense un’impronta totalmente mis- sionaria, incentrando i dibattiti su due grandi argomenti: promozione religiosa e sociale dei nativi e riforma del clero secolare ( vedi inserto ). Primo tema affrontato fu la cate- chesi: i nativi devono apprendere dottrina e preghiere nella propria lingua; siano composti catechismi nei rispettivi idiomi; i doctrineros (mis- sionari) imparino i dialetti locali e nell’insegnare le verità cristiane (re- gola pedagogica non trascurabile) procedano per gradi, poiché «la go- la stretta soffoca conbocconi grossi». Padre Acosta compilò un catechi- smo in spagnolo; due esperti lingui- sti lo tradussero nelle lingue dell’im- pero incaico, quechua e aymara ; i pa- dri conciliari l’approvarononel luglio 1583, insieme ad altri libretti con di- rettive, riti e preghiere da utilizzare tra gli indios . Ma in Perú, la più irrequieta re- gione dell’impero spagnolo, non esi- steva alcuna tipografia: un decreto regio proibiva la stampa di qualsiasi libro, per impedire la circolazione di idee rivoluzionarie. Toribio ottenne dal re la revoca di tale legge; chiamò dal Messico il tipografo piemontese Antonio Ricardo, «che arrivò con molto buoni apparecchi», e nel 1584 i catechismi videro la luce: i primi li- bri stampati in Sudamerica. Intuizione sempre attuale di Tori- bio fu il legame tra evangelizzazione e promozione umana. I missionari «devono occuparsi del bene corpo- MISSIONI CONSOLATA 50 GENNAIO 2002 V iaggiava il santo per i boschi delle Ande evangelizzando gli indios chacha- poyas , quando vennero a mancare i viveri a lui e ai compagni. Trovarono ne- gli alberi vicini alcune banane così verdi che nemmeno cotte servirono gran che. Il santo voleva pagarle ad ogni costo. Gli dissero che il padrone non si trovava, trattandosi di frutti selvatici. Il giorno seguente, alla partenza, diede ordine di lasciare due «reali» appesi all'albero per l’indiano sconosciuto al quale quell’al- bero forse apparteneva. U n giorno l’arcivescovo mise piede in territorio di pagani caribe , che gli an- darono incontro in gran numero con le armi in pugno. Egli parlò in tale ma- niera che quelli si inginocchiarono ai suoi piedi e gli baciarono il vestito. L’in- terprete non riusciva a tradurre ciò che essi dicevano. «Lascia perdere; io li in- tendo» disse il santo alzando gli occhi al cielo, e cominciò a spiegare il van- gelo in spagnolo e latino. Tutti lo capi- vano. I nativi rispondevano nella pro- pria lingua e il vescovo li comprendeva. Fatti del genere avvennero anche in al- tri posti, ma il santo vescovo voleva che non se ne parlasse per la sua grande u- miltà e santità. D ovendo raggiungere il villaggio di Taquillon, si trovò la via sbarrata dal rio Santa in piena. La violenza del- le acque non permetteva l’uso di zuc- che, ceste o piccole zattere di liane co- me in altri casi. Il vescovo fece tende- re una robusta corda tra le due sponde e, aggrappato ad altre funi penzolanti, si fece tirare fino all’altra riva con tut- to l’occorrente per il suo ministero. Fat- ta la visita, istruzioni e cresime come era solito, tornò indietro alla stessa maniera. Un giorno si trovò davanti a un fiume molto profondo. Gli indios si offrirono di trasportarlo in braccio, per rispar- miargli la fatica di cercare un guado più facile a qualche chilometro di distan- za. Egli disse loro: «Figli, non voglio mettervi in pericolo, né che per mia colpa qualcuno affoghi. Non tentiamo Dio!». Se non temeva di rischiare la propria vita, il santo era molto cauto quando in pericolo era la vita altrui, specie degli indigeni. I FIORETTI DI S. TORIBIO
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