Missioni Consolata - Gennaio 2002

ne e (una volta iniziata) andava a- vanti quasi automaticamente, com- pii adozioni a distanza anche per il Brasile, dopo avervi trascorso una ventina di giorni. Poi... sono entrato in crisi! Mi di- cevo: si aiutano i bambini a nonmo- rire di fame, ma non a svilupparsi, a crescere. Infatti coloro che frequen- tavano la scuola primaria erano ap- pena il 30% e quelli che arrivavano all’università il 10%; qualcuno ve- niva in Italia per completare gli stu- di e non ritornava più al suo paese. Così homutato strategia: non più adozioni per sopravvivere, ma per crescere, per studiare soprattutto. Ricordo un’interessante intervista concessa da padre Luciano Mattei , mio parrocchiano, missionario del- la Consolata e preside della facoltà di filosofia all’università cattolica di Nairobi, che affermava: «Il proble- ma più grave inAfrica non è la fame, il colera, l’aids o l’ebola, ma la man- canza di intellettuali cristiani. L’ori- gine di molti problemi è nel cervel- lo; per risolverli, occorre cambiare modo di pensare curando anche l’a- nima. Non si tratta di indottrinare, bensì di interiorizzare valori nuovi attraverso mutamenti di mentalità. E questo avviene soprattutto grazie all’università» ( Missioni Consolata , novembre 1996). Proprio nel 1996 iniziai le ado- zioni di universitari in Kenya. Fi- nora ho inviato 120 milioni a padre Luciano. L’elemento originale è che tale denaro fa parte di un vasto fon- do-progetto, ideato dal professor Mattei, destinato a durare anche quando egli lascerà la cattedra. In- tanto il contributo, offerto dalla Misericordia , ha consentito a 46 studenti di laurearsi. Io ogni anno garantisco il sostegno a 10 borse di studio. Le università stanno crescendo in Africa, e sono i veri artefici del rin- novamento. Se il buon Dio ci aiuta e se i paesi ricchi fanno altrettanto in modo sincero... Bisogna comun- que creare un fondo. L’idea di investire nella cultura ha avuto eco anche su varie riviste e giornali: Famiglia Cristiana, Avveni- re, Popoli e Missione , oltre che Mis- sioni Consolata . Alcuni giornalisti mi hanno contattato e, in seguito ai loro articoli, ho ricevuto telefonate da Roma, Milano, Massa Carrara... Ho fatto circolare un ciclostilato in cui scrivevo: «I paesi ricchi conti- nuano a mandare pacchi, medicine, denaro. Ma nessuno aiuta la cultura locale a creare condizioni di svilup- po per rendere autonome le popo- lazioni del terzo mondo. Inviare so- lo aiuti materiali significa prolunga- re lo stato di schiavitù e dipendenza da noi di tanti poveri. Non cresce- ranno mai nel sapersi gestire da so- li. Se adotti un bambino, salvi solo un bambino; se adotti una scuola, salvi un popolo ». EMERGENZE IN CASA Un prete deve essere credibile so- prattutto in loco . Dovrebbe sfatare il detto: nessuno è profeta nel suo paese. In altre parole, non può i- gnorare i problemi della sua gente, alienandosi nei paesi... lontani. Nel 1976, allorché entrai nella Mi- sericordia , misi in funzione una spe- cie di «telefono amico». Pensavo che servisse solo per consigli spiri- tuali; invece si è tramutato in un ca- nale che raccoglieva tante emergen- ze: ragazze-madri, prostitute, vecchi abbandonati. Nel 1989 scoppiò la guerra nella ex Jugoslavia. Dal vescovo di An- cona, Dionigi Tettamanzi, ebbi l’in- carico di spedire pacchi di prima necessità in Croazia e Bosnia, aMo- star e Medjugorie. Poi l’Albania. Ancora una volta sono stato coin- volto in operazioni di emergenza, anche perché Ancona è il porto più vicino a Spalato. Arrivavano pac- chi-aiuto da tutta Italia, e siamo riu- sciti a spedirne 35 mila alle Caritas locali e 85 milioni di lire. Ovvia- mente, prima dell’invio, mi recavo a Spalato per concordare l’opera- zione con il responsabile del posto. La merce, giunta a Spalato, veniva subito caricata su camion che la tra- sportavano a destinazione. Operazioni del genere sono du- rate dal 1989 al 1996. Oggi i pacchi- dono non servono più, perché con la pacificazione si è messa in moto anche la produzione locale. Ma è scoppiata un’altra «bom- ba», quella degli emigrati. Arrivano in parrocchia, perché hanno sapu- to che mi interesso di «certe cose». Sono specialmente donne che cer- cano lavoro, e a noi servono anche per assistere gli anziani dell’ospizio parrocchiale. Ho sistemato con un lavoro retribuito circa 300 persone, non solo ad Ancona, ma anche a Se- nigallia, Fano... Bisogna però rispettare la legge i- taliana sull’immigrazione. Un terzo degli extracomunitari che incontro ha il permesso di soggiorno, mentre gli altri hanno solo il passaporto con «permesso turistico». Per lavorare in Italia, occorre essere in regola ed essere assunti legalmente. In genere le donne sono più dili- genti nel regolarizzare la loro situa- zione. Una volta impiegate come colf (ad esempio), si fanno apprez- zare. L’80% dei datori di lavoro i- taliani si dichiara soddisfatto. L’u- nica critica è: «Non sanno cucina- re bene». Ciò a causa della diversità culturale. Però non è mica scritto nel van- gelo che la pasta al forno sia sempre migliore del cuscus. Mc (*) Don Cesare Caimmi è parroco di «Santa Maria della Misericordia», Via Isonzo 1 - 60124 Ancona - tel e fax 071/20.40.59 - cellulare: 339/79.87.460 Ancona: la cattedrale gotica di san Ciriaco, prospiciente sul Mare Adriatico.

RkJQdWJsaXNoZXIy NTc1MjU=