Missioni Consolata - Gennaio 2002

MISSIONI CONSOLATA 14 GENNAIO 2002 Don Cesare, come vengono ac- colte le sue attività extraparroc- chiali? Con favore, anche perché sono at- tività trasparenti. Ogni anno un gior- nalino presenta il resoconto delle mie iniziative che lei definisce «extrapar- rocchiali», ma che tali non sono, se è vero che ogni cristiano deve es- sere missionario. La comunità è a conoscenza di tutto. I sacerdoti diocesani che dico- no? Approvano il mio operato: a tal punto che, quando hanno un ex- tracomunitario da sistemare, lo mandano da me. Approvano anche le adozioni di studenti universitari, secondo lo slogan «se adotti una scuola salvi un popolo»? Certamente. Però non ne tirano le conseguenze. Il mio impegno di solidarietà esige un salto di qualità. Si spieghi meglio. Ad esempio: tutti gli anni in parrocchia facciamo la campagna-abbonamenti per le riviste missionarie, on- de favorire la conoscenza dei problemi nel sud del mondo. Ma i risultati sono scarsi. Non c’è proporzio- ne rispetto alle adozioni di bambini. La gente non leg- ge per conoscere le vere cause della povertà. Manca il salto di qualità. Perché è più facile l’offerta per un orfanotrofio che la lettura di una rivista missionaria? Perché la carità dell’italiano è più sen- timentale che ragionata. Si resta fer- mi alle offerte per le emergenze, che vanno pure affrontate. Da chi e come provengono le of- ferte? Da bocca a bocca, come si dice. Chi ha fatto un’adozione lo rac- conta ad un altro, che poi segue il suo esempio. La parrocchia della «Misericor- dia» funge anche da ufficio di collocamento per donne extra- comunitarie in cerca di lavoro. Vi sono anche musulmane? Poche le musulmane. Arrivavano nel loro chador e gli italiani le guar- dano un po’ sospettosi. Mi è capi- tata una trentina di somale che non sono riuscito a sistemare proprio per il loro vestito. Oggi però qual- cuna incomincia a vestire all’italia- na e trova più facilmente occupa- zione. Anche le musulmane sposate cambiano vestito? Sì, certamente. E i mariti approvano? Ad Ancona ci sono ancora due o tre musulmane che indossano il chador ; le altre, per ragioni di lavoro, si sono «adattate». Io però non chiedo l’appartenenza re- ligiosa... Per gli emigrati cattolici, da circa tre anni, ce- lebro una messa mensile, frequentata da una trentina di persone. Metto pure a disposizione la «tavernetta», sempre affollata, dove gli extracomunitari fraternizza- no, magari con un rinfresco offerto dalla parrocchia. Ancona è un porto di mare. Qual è l’opinione dei cittadini di fronte a tanti che vanno e vengono... fra buoni e meno buoni? In genere tutti vengono accettati, perché gli anco- netani sono nati con i flussi migratori. Ricordo che, fin dal seminario, sentivo parlare tutte le lingue. Non c’è mai stato razzismo. E qual è il comportamento degli emigrati? Di regola non creano problemi. A CURA DI F RANCESCO B ERNARDI UN SALTO DI QUALITÀ e la rinuncia del «chador» Don Cesare Caimmi propone Manifestazione di donne musulmane: rivendicano il velo anche sulla carta di identità o passaporto (Torino, 1999). Diverso il comportamento ad Ancona.

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