Missioni Consolata - Giugno 1905

.- 91 .llt <2of}solata ripassava la nostra carovana, ebbero una luminosa idea. Nel desiderio di guadagnarsi qualche rupìa, o almeno qualche pezza, si erano messi d'accordo tra loro, e senza nulla farci sapere, erano partiti per nostro conto a caricarsi d'alberelli... Siccome nessun criterio spe· dale li aveva guidati, ognuno tagliò di quegli alberi che primi gli si erano parati dinnanzi; e quasi tutti, colla scelta fatta, dimostrarono ehe lo storto ed il diritto era quanto li aveva meno preoccupati: tutt'al più avevano presa scrupolosa cura di non tagliare tronchi troppo pesanti. Naturalmente una gran parte dei fusti recatici non servivano ai lavori per cui volevamo impiegarli ; d'altronde essi erano in quan· tità almeno quadrupla di quella che ci occorreva. - • Essendo oramai notte fatta, persuademmo quella turba d'operai improvvisati ad andarsene, e ritornare poi il mattino seguente per l'adunanza. Allora fu fatta una separazione dei tronchi inutiE dagli utili, e questi divisi: per qualità e pagati in proporzione: affare che ci portò via una mezza giornata, poichènon fu tanto facile il raggiungere un perfetto accordo sui prezzi, non prima pattuiti, d'una merce ehe non era stata richiesta, nè ci era necessaria. I residui furono acquistati come legna da ardere, a prezzi d'occasione, per cosi dire, ma infine tutti partirono contenti, essendosi ogni ver'tenza accomodata con mutua soddisfazione. Intanto, visto che la stagione delle pioggia cosi poco ci disturbava nei lavori, iniziammo altresì la costruzione degli altri fabbricati occorrenti •alla Missione ; la scuola, l'ambulatorio policlinico, la cucina, il refettorio per le suore, ecc. Queste costruzioni però non più in pietra, ma in puro stile africano, assai economico se si vuole, pur tuttavia beUissimo, dicono gli Akikùju, i quali non vanno cereando se si potrebbe far meglio, anzi non lo sospettano neppure. !.civilizzati troverebbero, invece, che dalle abitazioni nelle caverne delt'età della pietra alle attuali nostre, il periodo di transizione non deve essere stato nè lungo nè difficile. Senza dubbio, se non fosse dell'imprescrittibile verità. che qui in Africa non si puote tutto ciò che si vuole, anche noi saJ;emmo d'accordo. Ma la poesia di Diogene dove finirebbe? Senza contare che noi facciamo a meno anche della botte, ed in quattro e quattr'otto si ha una casa bell'e fatta. Si piantano in giusta linea nel terreno una serie di pali a poca distanza l'uno dall'altro; -si collegano tra. loro con lunghe e diritte bacchettina, che s'intrecciano come i vimini nei -canestri; quindi con terra ridotta a malta e ben impastata, si riempiono gl'interstizi tra le bacchettina e si ricopre il tutto d'un generale intonaco, col che ecco finito e perfetto un muro ·del genere. Ma noi, che non per nulla proveniamo da un paese d'artisti, vi stendiamo an- ·cora con profusione una mano di terra bianca, -che dà a tutta la fabbrica l'asp-etto d'una vera l .casa, con muri solidi... visti di lontano, s'intende, e senza toccarli. Il tetto e gli accessori - come nelle descrizioni del Robinson svizzero - si possono anche qui trovare con un po' di buona volontà, visto anche che noi non siamo davvero di difficile contentatura. Alcune lastre zincate, qJiando il y a de l'argent per acquistarle, o semplicemente le lunghe alghe indigene legate a fascetti, ricoprono dall'intemperie le improvvisate casette, che il missionario d'Africa considera già come un lusso. Ad esse però abbisognano ancora imposte alle rade finestruole ed alla porta, per chiudere l'adito pieno agli acquazzoni notturni, ed esimerci dalle visite importune di animali amanti delle tenebre. Ma è cosa spiccia il procurarsele. Un fratello munito d'accetta ed accomp?-gnato da qualche indigeno parte per la foresta. Trovato un albero adatto, lo si abbatte, si spoglia dei rami, se ne suddivide il tronco in piallacci (vedi inci· sione a pag. 93), e questi- per un sentiero il più delle volte praticato espressamente tra i fitti cespugli - vengono trainati alla Missione; adoperando quali corde le liane che la stessa foresta generosamente fornisce. Con una sega ed una pialla--che buone o cattive .ci sonol'arte del fratello produrrà, con più o me:p.o lungo lavoro e stento, le imposte volute. Talvolta servono benissimo allo stesso uso le as- .sicelle di vecchie casse da imballaggiò. Il mobilio si trova anch'esso all'altezza-della, situazione. Quattro piantoni infissi nel suolo sostengono un telarino, su cui è intrecciato un pagliericcio di rorighi (scorza- d'albero): il tutto rappresenta il letto su cui il missionario, stesevi le sue coperte, distende se stesso per un riposo che, volere o no, si guadagna e che - a dire il vero- gode invidiabilmente perfetto senza uso di cloralio o morfina, a meno che a troppe iene od a troppo noiosi sciacalli non salti il ticchio di venir a riddare attorno alle malsicure porte. Sono poi incredibili le benemerenze africane delle sullodate casse da imballaggio, le quali, dopo esser passate per mille avventure di terra e di mare, continuano a trasformarsi meglio d'ogni mobile brevettato ad uso multiplo. Una. cassa scoperchiata e capovolta è una sedia perfetta; due casse sovrapposte danno un magnifico tavolino, il quale finisce per compiere cento uffici in una casa dove non vi sono altri mobili. Quando poi ven!OnO visitatori d'importanza, come un confratello sacerdote od il Governatore della Provincia, essi sanno come debbono fare se vogliono star comodi: senza attendere l'invito di make yourself at home, si siedono sul letto. Come si vede, la descrizione di un nostro interno è presto fatta. E chi ne vuol di più - si potrebbe dire eon una ragione apodittica - ne mandi..... Del resto, in paesi come questi, chi ha la virtù di star tappato in casa? Di fuori la natura ha. profuso quanto la civiltà non può mettere Ili dentro: i panorami senza confini, il rigoglio

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