Missioni Consolata - Giugno 1905

l manto. L3 falde nevose paiono veramente Ti tirarsi, sotto' il caldo fQlgore del sole, in · .quella guisa che la chiocciola rientra nella sua casetta alla vista di un nemico. In tutto il tempo dei lavori due o tre volte appena fummo disturbati da acquazzoni du· ran te il giorno; ma anche in questi casi era possibile prevedere alcune ore prima il loro arrivo, come si preannunziano dagli osservatori meteorologici i cicloni del Tex:as o di Borneo. Incomincia ad apparire sul .pianoro d'Ukamba, a circa una cinquantina di chilometri da noi, una nuvoletta. Come quella del profeta Elia, lentamente essa· si avanza, qua.si poggiando sulla terra a mezzo di'quelle righe verticali, che indicano come la nuvoletta non istia sull'orizzonte solo per far fi. gura. Impiega qualche ora a tragittare la distanza che la separa da noi, ma anche quando ci è vicina non siamo ancora certi che scelga il nostro indirizzo, finchè, giunta ai piedi"delle colline del Kikùj u, non abbia infilato l'uno o l'altro dei numerosi valloni che rappresentano quasi le a,rterie di questo paese. Se imbocca quello che è dominato dai fabbricati della Missione, passati pochi minuti, il forte sc'roscio portat.o dal vento ci avverte che è tempo di metterei al riparo. Difatti la pioggia sopraggiungeva subito e per qualche ·minuto cadeva quasi versata a secchiè, come in un nubifra~io, :(Ila tutto finiva lì. Per noi almeno, perchè la nuvoletta, per quanto P,iccola, pareva inesauribile nella sua ri~erva d'acqua, e seguitava il cammino verso l'alto Kikùju fino al Kinangòp, che da secoli e secolì tien testa a tutte le nuvole che i monsoni si ostinano a lanciargli contro. Là succede alla nuvoletta quanto, in altro campo, va da secoli avverandosi con quanti vogliono dar di cozzo contro la Chiesa cat~olica:· si infrange e si risolve completamente per ingrossare il Massioia, la cui piena improvvisa passerà domani presso Fort Hall, e fra qualche settimana eoncorrerà a far straripare il Tana: il N ilo in miniatura, come viene chiamato. IV. Il WaokUtùju distruttore di foreste - Impo- ••eflti prelimi10ari per la ve10dita di fJuoi - SqttilifJrio tra doma10da ed o/7'erta di m eroeNuove costruzio11i i11 puro stile of'rioatto - M o bi li o apostoliòo - Da mlhl anlmas, oa'etera tolle l Il ìVakikùyu, per un istinto di razza comune a tutta la fo~.miglia 'Bantu, è un te,rribile nemico delle foreste che, col ferro e col fuoco, inesorabilmente abbatte ovunque per dissodarsi campi, e perciò anche nei paraggi di Moranga ha. - da secoli forse - distrutto quanto d'alberi e cespugli poteva ivi trovars·. Della imprevidente distruzione si subiscono ora le conseguenze nella scarsità di legna da ardere, e nella. diminuzione di pioggia prodotta da un si sregolato disboscamento; come i nostri contadini sudano ora su di un terreno che secoli e secoli di poqo adatta concimazione hanno completamente depauperato. Anche noi, per provvedere alla travatura del tetto della nuova casa, fummo costretti a cercare gli alberi necessari ..assai lontano. L'incarico di trovarli si affidò al fratello Celeste, il quale dovette a tal fine portarsi fin sulle rive del Sagana, fiume che scorrendo attraverso la pianura scorazzata dai guerrieri Massai, ha. potuto finora conservare incolumi dal coltello kikùyu i boschi che lo costeggiano, e che paiono essersi colà radunati in cerca di uno scampo supremo. Seguendo i sentieri tracciati dagl'ippopotami,.che avevano scelti quei recassi per le loro romantiche passeggiate e che ora, disturbati, dovevano riparàrsi nell'acqua profonda e tranquilla, fu fatta nei folti~ l boschi la sceltà degli alberi al nostro scopo. Ognuno di questi fu quindi contrassegnato in modo che· dai lavoratori indigeni, inviati poi per abbatterli e trasportarli alla missione, non venissero scambiati, per isbaglio, con altri meno pesanti. Però la località distava dalla missione in modo che i lavoratori, quantunque partissero di buon mattino, facevano appena in tempo a ritornare per il tramonto. La nostra·prima idea era stata di trasportare gli alberi a mezzo di buoi, ma le trattative per acquistarne dagli indigeni - peggio di quelle che precedettero la guerra russo-nipponica '-- minacciavano di andare tanto per le lunghe che dovemmo, sfiduciati, smetterne il pensiero. Alla prima proposta fatta. al capo d'un villaggio a noi vicino, egli trovò necessario radunare il consiglio di famiglia, che cònchiuse per un invito agli anziani di tutta la collina ad una sborni~ di tembo. Quand~ tutti avevano già passato, lo stato d'effetto esilarante e, come in un comizio moderno, tutti potevano parlare senza l'obbligo morale di dir cose a prop~sito, essi riuscirono a comunicarsi vJcendevolmeri.te la proposta. di ritrovarsi la sera seguente alla Missione per una gran cira (adunanza)', in cui si sarebbe trattato, se non dei destini del Kikùyu, almeno di quello di due o tre de' suoi buoi. Qui - in forza dell'etichetta locale - sarebbe stato nostro dovere d'ammazzare un caprone, prçprio di quelli dalla lunga barba, per rifòcillare gli adunati e da:r loro forza per i grandi fiumi di parole che dovevano -scorrere: Ma noi facemmo loro osservare ch'e presso i bianchi non si usa ammazzar caproni nelle adunanze d'affari. La ragione, rafforzata dal fatto che il caprone non c'era, fu trovata buona, e gli interminabili discorsi - forsé ancora perl'effetto del tembo bevuto il giorno precedente 1 - ebbero luogo ugualmente. Il risultato di tutte quelle parole, per lo più ,gridate come da tribuni popolari, fu di a~sodare che un bue è una bestia molto grossa, ad esempio

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