Missioni Consolata - Giugno 1905

90 J1l eortsolata ed ottenere i relativi permessi, il fabbriçarla diventa poi un ·affare assai semplice. Si con· certa con un capo·mastro, che invia sul luogo una dozzina di muratori con una proporzionata provvista di mattoni, sabbia, calce; quando poi la costruzione muraria è finita arrivano il falegname, il decoratore, ecc., ecc., e poco tempo appresso il proprietario riceve le chiavi· del suo fabbricato, colla sola preoccupazione d'aver danaro sufficiente pel saldo del suo de- · qito. Tutte cose, come si vede, assai spiccie. E il denaro che fa le case, come fa la guerra.• Ma qui in Africa, dove per lo più manca anche il denaro, le cose procedono ben divMsamente, e siccome non vi sono nè capimastri nè muratori, e neanco calce nè mattoni, tutto il lavoro è riservato a noi. Dicendo tutto non intendo far iperboli o usare una figura grammaticale di qualsiasi specie. Qui nel centro dell'Africa equatoriale, quanto ad arti, mestieri e relativi strumenti e materie preparate, siamo ancora alla cosidetta età della pietra, o forse più indietro ancora, al teinpo dei trogloditi, alle cui caverne - piuttosto che ·a case - rassomigliano le capanne indigene. E noi, provvisti appena deglf strumenti indispensabili che possiamo avere d'Italia- dopo mesi di viaggio e spese di porto ·che ne triplicano il costo originale- dobbiamo ricorrere a cento spedienti, per improvvisare nuovi attrezzi di lavoro e trarre dalla natura la materia per il medesimo, la quale ci perviene cosi veramente di prima mano. Il verbo dialettale arrangim·si, che tutti i capitani piemontesi che si rislJettano usano largamente nei rapporti colle loro compagnie di soldati, .iri Africa, non solo è all'ordine del giorno, ma entra addirittura nella categoria delle azioni indispensabili. E noi ci arrangiamo per provvedere nel miglior modo possibile all'incredibile somma di cosette che occorrono per costruire una casa, sia pure di modestissime proporzioni e senza pretese. Lavoriamo da fornaciai per avere i mattoni di malta seccati al sole, con cui costrurre gli archi alle porte e finestre; da carpentieri per la travatura del tetto; ora muratori, ora scalpellini, ora falegnami o fabbri, passiamo di volta in volta alle occupazioni più disparate e strane per chi non vi è iniziato. Come intermezzo poi, si curano malati, si ricevono capi indigeni che vengono a tròvarci, casomai potessero arraffare quiilche regaluccio; si compera e si fa ammazzare un montone pel vitto; si siede a giudici per qualche improvvisa questione insorta ed a noi deferita; si distribuisce il riso e si dosa il sale per la minestra. E intanto la casetta va elevandosi e prendendo forma coi suoi scompartimenti. Continuano a giungere le zucche piene d'acqua per far 'la malta, con cui economicamente sostituiamo la calèe che non c'è; essa viene J:Ortata ai muratori a mezzo di foglie di banani, le quali servono benissimo da vassoi e da secchie, La cava fornisce ininterrottamente buona pietra che, un frammento dopo l'altro, passa a formare bei muri raggiungenti di già una discreta altezza: un ventesimo forse di certi palazzi> americani, ma per i nostri indigeni già cos't alti che essi li guardano con un certo timore. e passandovi dappresso vi appoggiano la mano. quasi a sosten!!rli ed impEdirli di cadere loro addosso improvvisamente, tanto par loro strano che possano star su da sè. Ed i visitatori vanno facendosi più numercsi di giorno in giorno. Le donne ed i fanciulli, in gruppi compatti e tenendosi a rispettosa d'istanza, osservano. si comunicano, tutti ad un tempo, le proprie impressioni e scoppiano in sonore e lunghe risa, caratterizzate da una specie di trillo perfettamente all'unisEOno, svolgentesi come un neuma liturgico, che è un loro modo di esprimere la meraviglia e di dire che li dentro non ci capiscono nulla. Gli uomini, invece, col sans gene degli Akikùju i quali dapertutto si trovano come a casa propria- giacché qui tutti son padroni di casa sebbene non vestiti, come da noi tutti godono dei diritti dell'uomo anche ·se cascan di fame- gli uomini, dico, fanno il giro completo della costruzione, discorrendone dottamente, a quanto sembra dalla serietà con cui parlano. Poi vi si cacciano dentro, inchinandosi profondamente quando varcano la soglia delle porte, quantunque queste siano alte tre volte almeno quelle delle loro capanne e, più che su tutto il resto, discutono con calore sulla. destinazione di quelle aperture che noi chiamiamo finestre, Ja cui ragione vera di esserenon azzeccano di certo. Questo accorrere di censori ricorda al vivo l'antico popolo fiorentino, il quale si recava a sentenziare sulle operede' suoi artisti. Dove i discorsi raggiungonoil più alto grado d'animazic ne e di generaleinteressamento, si è quando, nel giro d'espio· razicne, i visitatori giungono nella grande camera destinata a dormitorio delle suore.. Tutti sono subito d'accordo nel giudicarla. fatta appositamente per mettervi i buoi; gli agnelli invece- essi soggiungono-staranno bene nella seconda stanza, più piccola, ed in questa ed in quell'altra, calcolando perfino quanti ovini ciascun ambiente potrebbe contenere. Essi, abituati a convivere colle loro capre e montoni e in una stessa capanna, non sanno. p~rsuadersi che una caEa cosi bella si faccia soltanto per alloggiarvi J:ersone, e trovano ben più naturale che si costruisca specialmente per il_bestiame, il cui possesso è qui l'indice dell'opulenza e della dignità. Cosi un cortile ki• kùju non cosparso di sterco bovino ed ovinot è indice sicuro che il proprietario appartiene alla classe dei più spiantati fra gli uomini. Tanto è vero che in questo mondo tutto è relativo, sopratutto le idee di grandezza e di ricchezza! La successione delle varie camere fa loro· un po' l'effetto del labirinto di Dedalo: non si

RkJQdWJsaXNoZXIy NTc1MjU=