Missioni Consolata - Febbraio 1905

26 J.ll· e o f) s o l a t a - in tutta l'Africa, è caratteristica la rapidità con cui le notizie si propagano fra i neri, di lor natura fantastici ed impressionabili come fan_ciulli, girelloni ed avidi di fare ed udire chiacchere. Intanto che s'andavano fondando ·le varie stazioni di missione, buon numero di indigeni rimanevano qualche tempo a contatto diretto coi missionari, quali portatori . od operai, ed imparavano a conoscerli. Essi distruggendo poi nei loro villaggi le false prevenzioni, invogliavano i loro conterrazzani a venire alla missione a visitare i patri; a vedere coi loro occhi le meraviglie di fabbriche che sorgevano, di oggetti non più ve duti che arrivavano dall~Europa. Ma ciò che più valse ad attirare i neri verso il missionario furono pur sempre le cure ai malati « il mezzo - ci scriveva ancora recentemente il teol. Perlo- che è forse l'unico per accaparrarsi rapidamente · queste popolazioni Belvaggie, le quali non conoscono altri bisogni se non quello di una medicina che essi non hanno ». I primi accorsi all'ambulatorio diciascuna stazione, curati e guariti, ne richiamavano altri in numero progressivamente crescente: tutti poi disponevano i timidi e gli impGtenti rimasti nei villaggi, ~ non solo a sottomettersi volentieri alle cure, ma ad invocarle; a far chiamare il missionario o le suore in luogo del mogo (medico indigeno o stregone) che andava di giorno in giorno perdendo terreno. « È certo - scrive il teol. Bertagna ·da Limùru - che i neri incominciano ad apprezzare altamente l'operato nostro. Essi che, se son sani, non toccherebbero per qualunque cosa una piaga infettiva, al veder noi farlo senza alcun ribrezzo, con tanto amore; farlo noi i quali siamo pure musunghi, come il governatore, taciono e le loro menti si confondono. Da un preconcetto timore passano man mano ad una illimitata con:fidenza:ci vengono attorno e c'invitano a visitare la loro capanna, .a mangiare del loro cibo. E noi ci sforziamo di soddisfarli in tutto, ·affinchè non abbiano più timore di noi; ci prendanò affezione e vengano a capire - com' è loro possibile - la nostra nobile missione fra di essi ». «Questa mattina - narra D. Scarzello addetto alla stazione della Consolata- stavo medicando una piaga assai fetente. Gli indigeni mi domandarono : - ·Sei senza naso tu ? -Oh, certo-che no. - Allora come va che non ~enti il puzzo? - Sì che lo sento.... e ben forte. - Ed alle loro esclamazioni di meraviglia ripresi: Ma vostra madre non vi medicherebbe? - Sì, sì, ci medicherebbe. -Ebbene, ripresi, il patri è come vostra madre. Non osai dire éome vostro padre, ·sog; giunge argutamente D. Scarzello, perchè dubito assai che il loro padre volesse medicarli ». Costretti dallo spazio non moltiplicheremo · questi tratti graziosi e commoventi, che si potrebbero dai diarii estrarre in gran numero. Solo raccogliamo ancora qua e là alcuni cenni, i quali, dimostrando il crescere della clientela dei nostri medici in sottana ed in gonnella, danno anche una delle principali ragioni del felice cambiamento che si va operando a loro favore fra gli indigeni in ,tempo assai più breve di quello che gli esperti in materia, ed essi medesimi, avessero preveduto. Scegliamo a: caso. Stazione del S. Onore (Moranga). ~« È impossibile- scrive D. Gia~osa -far passare tutti quelli che giornalmente si presentano all'ambulatorio »-Il diario delle suore nota: « Suor Maria è stata oggi t~tto il mattino occupata a medicar malati. E tutti i giQrni si rassomigliano ». Stazione di S. Giuseppe (Limùru).-~ Suor Scolastica passa il mattino curando infermi». - ·« Suor Antonia trascorse il di attendendo agli ammalati, che continuamente si presentavàno ». - E ancora, sotto la data di un giorno in cui a questa missione-procura ferveva il lavoro per trarre dal magazzino e preparare i carichi di derrate da rifornire varie stazioni: « La suora Assistente cura ·i malati, e, con quelli che lo sono veramente, si presentano molti, di cui chi dice di aver male alle ossa, chi mostra una piccola piaga in un dito; chi si è tolta una spina dal piede e gli è rimasto un buco grosso come la cruna di un ago...._Eppure bisogna aver pazienza, non

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