Missioni Consolata - Marzo 1904

44 1l1 eo11solata GG~==,~~-r~-i:,,;;..,=~~•~-*==~=...al!!~O I contrafforti del Kinangòp - Lasciamo · l'acqua per 'il fango - Elefanti vandali - Scarpe di pietra - Cresce la carovana - Allegria su tutta la linea. Lunedl 20. Al nostro alzarsi troviamo il tempo sempre minaccioso. Dopo la S. Messa faccio una visita al mio malato: ha ancora un po' di febbre e le ferite lo fanno soffrire, tuttavia non dà un lamento. Essendo troppo debole per seguirci, egli resterà qui assistito da due compagni, :finchè possa riprendere il viaggio. Noi prima delle sette già siamo in via. Oggi è giorno di salita: dobbiamo attraversare la catena formata dai contrafforti del Kinangòp, per poter giungere a Tusu domani. Secondo l'accordo fatto coi capi-carovana, questa sera ci accamperemo presso il capo Karangia, a 4 ore e mezza da Tusu; così domani prima di mezzogiorno potremo toccare comodamente la nostra meta. Lasciamo la piana e, per conseguenza, lasciamo l'acqua; ma per entrare nel fango che rende il viaggio ancora più faticoso. La nostra strada che sale e sale di continuo serpeggiante per le tenebrose foreste di bambù, è poetica e nuova per i miei compagni. Per chi le vede la prima volta queste foreste hanno un aspetto fantastico e dan l'idea di un paese incantato: piacciono quegl'impenetrabili muri di milioni e milioni di canne gigantesche che fiancheggiano il sentiero, innalzandosi anche sopra i venti metri di altezza. Di tanto in tanto valichiamo cime di montagne scoperte, d'onde i magnifici panorami che si potrebbero godere ci son tolti. dalla densa nebbia, ·che ognora ci accompagna_e che si unisce al fango per richiamarci dalla poesia della natura alla prosa della via, se nierita tal nome quella che seguiamo, alla quale dobbiamo.dare tutta la nosti:a attenzione, se vogliamo andare avanti. E una via tracciata alla lesta: non s'è fatto altro che abbattere i bambù sopra una larghezza da due a tre metri; ma siccome nessuno si è curato di strapparne le radici, conviene che P viaggiatore si guardi dall'inciamparvi dentro ad ogni passo; in qualche punto, però, esse servono benissimo per mettervi il piede sopra nell'attraversare qualche larga pozza d'acqua piovana. Di quando in quando canne grossissime, strappate dalle loro radici, giacciono attraverso il sentiero a terra o appoggiate alle canne dei margini, ed allora conviene o passarvi sotto o scavalcarle: per noi ciò è un nulla, ma per questi poveri portatori, col ·loro carico, è fatica ·grande. Il vandalo ch'è cagiona simili guasti è l'elefante, che volendo passare solo od in gruppo, con un colpo di proposéide getta da: un lato questi fuscelli. Nell'attraversare certe vallette ci troviamo in·vere paludi di fango che.,- è .tutto dire! - ci fanno riropiangere' il cammino nell'acqua I della pia~a. 0olà l'acq~a da qualche buco delle scarpe usciva _ancora, ma qui si tratta di camminare con-scarpe che fan l'effetto di essere di pietra, avendo fango dentro e fuori. Mangiamo camminando, e soltanto carne, non convenendo arrestarci per far la minestra. Usciti, dopo una marcia di cir,ca sette ore, di mezzo ai meranghi (bambù) camminiamo un'altra ora in mezzo a campi e boschi ·del capo Karàngia; è cessato il gran fango, ma in compenso incomincia a cadere la pioggia, bagnandoci fino all'osso. Tuttavia l'allegria oggi è ritornata generale, perchè ci avviciniamo al termine del viaggio. Di tanto in tanto incontriamo gente: sono parenti dei nostri uomini che vengono a portare loro altro cibo o ad aiutarli a portare i1 carico. I portatori intonano il canto in lode del Patri e delle rupie che domani riceveranno; la marcia si fa più spedita e le fatiche passate si dimenticano. Sono le 3 112. Dopo otto ore di faticosissimo viaggio arriviamo presso Karàngia, e sotto una fina pioggia ci accampiamo in un l:!el piazzale. Fatichiamo ancora un pochino . a mettere al coperto i nostri carichi ed a rizzare le tende; ma poi possiamo cambiarci i panni e ristorarci. Facciamo la zuppa di gallette nel latte acido regalatoci dal figlio di Karàngia, e dopo cena ci affrettiamo a cercare il riposo, per essere presti domani a terminare un viaggio così brutto ed infelice nelle vicende che lo accompagnarono. Scala pe1'1·colosa - Appai·e la meta - Doppio saluto alla Missione.di Tusu - Un esercito pacifico - Il benvenuto - Karòli e lo scioglimento della cai·ovana - Iena ladra - La prima chiesa della Consolata in Africa. Martedì 21. Non piove, ma il cielo è molto coperto. Alle ·6 già siamo in via per fare l'ultimo tratto del nostro viaggio. Dopo mezz'ora di discesa attraversiamo un fiume, il quale ha per ponte un tronco d'albero spaccato. Segue una breve salita, poi la via discende di nuovo, ma così precipitosamente che è quasi impossibilè non . cadere: essa è larga 5 o 6 metri, ma solo un piccolo sentiero nel mezzo è praticabile, per-· chè formato a scala. Attraversato il fiume Maragna, ascendiamo un'elevata collina e di lassù abbiamo finalmente la consolazione di scoprire la nostra Missione di Tusu, che·specialmente i nuovi arrivati salutano con profonda commozione : è la culla d~l nostro apo• stolato qui in Africa, la prima stazione che si è fondata su questa terra stranie:ra nel nome dolcissimo di Maria Consolatrice! - I tre capi della carovana con più colpi a salve salutano la. Missione e danno il segnale del nostro arrivo. Ben presto col nostro binoccolp scorgiamo in lontananza il teologo Borda venirci i~contro. Alle falde delìa collina scorre il vorticpso Massioia: lo attraversiamo su un ponte . fattò costrurre già dai riostri missit)- narii. I portatori stanchi si ria.nimano, si ordinano sotto il comando dei capi; coloro che

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