Missioni Consolata - Marzo 1904

42 U1 eo11s.olata (QQ!!:l!!l;;==~~,c:Jlllii!;;;;;;=iiii.9,~""";;;;;;=a.;;,;•~~=~~;__=K-=;;;;.;;;;.;,===• 00 bandonarla, nè dimenticare come essa sia composta d'uomini carichi. Mentre così m'avanzo pian pianino e salgo un leggero pendio, i miei occhi, si posano su di un uomo che, a dieci passi dal fianco destro del sentiero, giace supino a terra. Dapprima mi pare addormentato, ma poi, osservandolo meglio, dubito di una disgrazia. Me gli avvicino. Egli sta presso un fuoco ornai spento: il suo giogoma (bastone) infranto in tre pezzi, le sue collane e ·la sua tabacchiera son lì vicino. Lo esamino attentamente: unico segno di vita ch'egli dà è una debole respirazio·ne; il suo corpo è tutto ustionato, anzi sul petto ha una larga ferita prodotta dal fuoco. Lo chiamo ripetutamente, ma non ottengo un segno che egli m'intenda; lo alzo, lo adagio in una posizione più naturale. Intanto passa la carovana, ma nè da alcun portatore nè dagli stessi capì, malgrado le mie insistenze, posso ottenere un po' d'aiuto nel soccorrere quell'infelice. Questi neri hanno una tremenda paura dei morti per l'idea, radicatissima fra loro, che chi tocca un morJ;o· ·in breve muore anch'esso; perciò portano i loro moribondi nella campagna prima che abbiano esalato l'ultimo respiro e li abbandonano a morir soli. La iena poi fa da becchino. Mando in fretta a·chiamare D. Scarzello e Benedetto che in pochi minuti arrivano, e fra tutti facciamo quel poco che il tempo, e più i mezzi, ci permettono. Dalla scatola farmaceutica, che abbiamo con noi, traggo ammoniaca ed essenza di aceto e tento di far rinvenire il poveretto, ma dopo venti minuti di cure non riesco che a-fargli rigettare una quantità d'acqua. - I nostri portatori continuano a sfilare e, per il ribrezzo che provano, non volgono nemmeno il capo a guardarmi; appena qualcuno più coraggioso osa rivolgermi la pa-rola, chieden• domi se non ho paura di morire toccando quel cadavere, I>overa gente! Più che di rimpro-· vero sono d~gni di compassione, giacchè, data I la ·loro superstizione, come potrebbero regolarsi diversamente? Mentre ci adoperiamo del nostro meglio per contendere alla. morte quest'infelice, vo pensando come mai sia stato ridotto in sì misero stato. Che qualcuno l'abbia assalito di notte, battuto e poi gettato sul fuoco? Non sembra probabile...; però quel che ora c'importa e ci affiigge si è che il disgraziato non rinviene, il tempo passa e la carovana si va allontanando: il dovere ci .costringe a seguirla, la carità vorrebbe ancora qui ritenerci... Fortunatamente arrivano di corsa cinque uomini: vedendoci si fermano all'improvviso e ci chiedono se è ancora vivo colui che curiamo. Questi uomini che non hanno paura del morto ci fanno meravigliare; il loro interessamento per lo svenuto ci dà speranza che essi sappiano dirci qualche cosa a suo riguardo. Li interrogo ed apprendo che questo poverino fa~eva parte di una ca' rovana partita ieri da Naivasha e .che, colta dalla notte sulla piana, era stata quasi distrutta dal vento, dalla pioggia e dal freddo. Soggiungono che di qui a Naivasha ben 17 · sono i morti, e che ancora ne troveremo diversi sulla nostra. strada prima di arri va.re a Giabi-ne. .Coloro che ci davano tali dolorose notizie avevano fatto parte della medesima carovana, ed ·erano i pochi superstiti di essa che, rifocillatisi alquanto a Gia.bine, ritorna.va.no ora a. vedere se qualcuno dei loro compagni rimasti indietro fosse ancor vivo. Un'ora e mezzi;i. è già passata ed il nostro ma.lato non rinviene ancora, sebbene assai ci dia a sperare il fatto eh' egli ha più volte avuto rinnovato il vomito. Non possiamo più oltre fermarci, dobbiamo assolutamente raggiungere -la carovana che più non si vede; ripeto ancora una volta le cure; a-dagio bene il paziente e lo raccomando ai suoi compagni, che mi promettono di non abbandonarlo, avendoli io assicura.ti che fra un'ora sarebbe ritornato ai sensi. Ripigliamo la stra.da quasi di corsa per raggi.ungere la carovana; dopo mezz'ora. di marcia un bel giovinotto, riverso nell'erba, ci sbarra il sentiero. Lo esaminiamo: non è più che un freddo cadavere; lamorte deve da.tare già da qualche ora; stringe ancora una manata d'erba, strappata nel dibattersi colla morte. Col cuore angosciato procediamo : questi tristi incontri si ripetono ancora cinque volte. Qua.si tutti i morti stringono ancora fra le mani tizzi spenti, all'uso di questi negri che li portano spesso accesi da un accampa.- mento all'altro, a fine di accendere più presto il fuoco alla nuova fermata; tutti hanno accanto il loro involto di patate e, dalla posizione che conservano, si arguisce che hanno dovuto soccombere correndo·verso le capanne di Gia.bine, dove avrebbero trovato la vita. Un altro giovinotto sta disteso irrigidito sopra una roccia appena a mezz'ora di distanza da esse: ha ancora attraversato il corso d'acqua che là si trova, ma gli è mancata. la forza per risalire la sponda e guadagnare il sentiero; l'ultimo morto giace a soli cinque minuti dalle capanne: non gli è più bastata la lena a varcare sì piccolo spazio! - Paiono impossibili queste morti per assideramento in Africa e sotto l'equatore, sebbene non il solo freddo le abbia prodotte, ma il vento ghiacciato, insieme, la pioggia e la stanchezza; vera.mente la notte scorsa fu terribile, come ben ci accorgemmo anche noi, pure ripa.rati dalla tenda e dalle bu·one coperte. . Arriviamo a Giabine che quasi tutti ci hanno preceduti colà e già si sono allogati intorno ai fuochi accesi nelle molte ca.panne, fatte appositamente costruire da Karòli per le carovane èhe hanno attraversato la piana. Si sono fatte oggi sole cinque ore di marcia e, secondo il mio -itinerario, si sarebbe dovuto ancora camminare due ore; ma i portatori non vr sono per nulla disposti. Benedetto e Cattaneo mi riferiscono che all'incontro del morto pr"esso il fiume, i nostri uomini, fortemente impressionati dal ripetersi del macabro spettacolo, avevan preso un· passo quasi di

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