Missioni Consolata - Maggio 1903
pieni polmoni da montanari, sollevando ·un nuvolo di cenere, parte della quale, volere · o no, finirà nei nostri tondi. Ma l'aria è buona e l'appetito migLiore: la colazione finisce in fretta e senza sofisticare sull'arte culinaria che vi ha presieduto, nè ·sugli ing1·edienti che vi si sono aggiunti. Intanto i portatori hanno arrotolati i -letti e smontate le tende; gli ultimi òggetti vengono rapidamente insaceati e, dopo la solita rivista ai portatori ed ai carichi, suona la tromba e la carovana s'avvia. Un furioso stringer di mani e la promessa, mille volte ripetuta, di tornar presto, mettono fine alle brevi relazioni con questa tribù: in noi rimane la speranza di tornarvi presto e restarci; gli indigeni par– leranno a lungo di questo avvenimento del passaggio dell'uomo di Dio, poichè nella loro vita patriarcale e tranquilla succederanno .dif– ficilmente altri avvenimenti più importanti. Ma la Messa celebrata fra loro, benchè incoscienti, avrà lasciato un'aura di benedizione, e Dio vòglia che il Sangue invocato sopra di essi, scenda presto a rigenerarli alla vera vita. Il sole è sorto senza Ù,ila nube: · tutta la natura brilla nella sua freschezza mattutina, e mentre la nenia dei portatori va risuonando per la valle, il mio sguardo si affisa verso la parte ove il sole è nato, e cerca il nuovo paese da conquistare. E i bramati 'oggetti delle no– stre conquiste continuiamo a vederli sui lati della strada, lontan lontano nella successione dei colli: dovunque un tetto di paglia accoglie anime da salvare. La strada è sempre la stessa, identiche le coltivazioni: soltanto il sole ci ri- . corda, benchè ancora imperfettamente, che siamo sotto l'equatore. Di fronte a noi inco– mincia a delinearsi il gran piano attraversato dal Tana, che divide il Kikùyu dall'Ukamba; verso sinistra un grand'ammasso di nubi sta– zionarie segna il Kenia nel suo abito diurno; di dietro un altro accavallamento di nubi ri– copre il ·nostro Kjna;:ru~op, ancor più famoso del Kenia nell'essère sempre velato. Allo spianato detto ngdrha degli Akikuyu, su un dorso di colle, facciamo una sosta. Quivi in certe occasioni straordinarie, e dietro in– vito di. Karoli, si radunano gli anziani ed i guerrieri Akikuyu che riconoscono la sua su– premazia, per le assemblee generali: in teoria per ·trattare le più gravi questioni'di stato, e praticamente per chiaccherare, danzare, man– giare qualche capra e bere enormi quantità di tembe. La posizione è pittoresca; quel colle non È> coltivato, ma ricoperto di un'erbaccia alta due metri e più, che viene periodicamente incendiata. All'uscita della strada da una selva di ba– nani, d'effetto assai caratteristico, vediamo in lontananza il torte inglese Hall. I portatori affaticati dal sole, ardente più che non quello della loro regione, ripigliàpo lena: il capo della carovana intona la mia cànzone, a cui tutti rispondono in coro con voci poderose cantando le mie lodi, la mia grandezza e bontà e ma- gnificando le rupìe che tra poco darò loro: Ri– petendo sempre le stesse cose, la canzone dura parecchio, finchè -cosi non monto in superbia - alla mia, succede quella del cane della Mis· sione, il quale è sempre alla testa della caro– vana ed è sovente oggetto di osservazioni e discorsi. La canzone del cane si svolge sulle sue qualità bucoliChe, sul suo appetito formi– dabile, sul forte suo abbaiare, sulla paura che cagiona alle 'fanciulle e donne di Tusu. E sic– come la tappa :finale si avvicina, vien cantata la canzone d'obbligo all'arrivo d'ogni carovana. In quella il più poeta della compagnia narra, cantando, .le varie vicen!le del viaggio, le cose vedute e mangiate, le fatiche sopportate, e tutti rispondono col solito ·ritornello racchiu– dente le ultime parole dell'improvvisatore; taluno corona le note con qualche trillo par· ticolare, per dar più forza al canto. A dieci minuti dal forte, presso il capo Ke– nùsua, anch 'esso nostra anti ca conoscenza, met– tiarno il campo. Il capo si pose subito a nostra disposizione, e mentre la solita folla si adden– sava intorno a noi, egli ci provvedeva di legna e di latte, ci prometteva un montone e rega– lava ai nostri uomini enormi fasci di banani, che pochi minuti' dopo erano già ad abbrusto– lire su grandi fuochi. Rizzata la mia tenda, invitai Kenùsua sotto di essa, ed alla pr-esenza del suo popolo bevemmo vicendevolmente alla nostra salute alcune ·goccie di menta in un gran bicchiere d'acqua, il che mandò in visi– bilio il galantuomo, poichè il bere coi musungu (europei) era cosa non mai capitatagli. Mando avviso del mio arrivo al governatore, dimandandogli udienza per le 3112 del pome– riggio. Frattanto Kenùsua arriva col regalo d'uso, consistente in un montone: io lo contrac– cambio con una coperta a colori, che egli userà quale manto reale nelle grandi occasioni e che servirà a dare maggior forza alle sue parole nelle adunanze cogli anziani, accrescendo .il suo prestigio. Egli sa tutte queste cose, é mi dimostra la sua contentezza esaminando la coperta per tutti' i versi e in modo che il suo popolo la veda bene. Gli annunzio poi che da oggi in avanti io voglio restare con lui, fab · bricarmi una casa, dove curerò tutti gli am– malati senza ricompensa; insegnerò -il malloa ai fanciulli, ed a tutti, anche a lui, la parola di Dio che gli Akikuyu non conoscono ancora, .ma che è molto bella e che ha fatto i musungu potenti e dotti come sono. Il mio dire è ac– colto con approvazioni: il capo va ripetendolo ai suoi vicini e tosto si eleva un insistente e vivo chiaccherio, come in un collegio di fan· ciulle nell'ora di ricreazione; da quelli che mi stanno più dappresso riesco a capire phe ognuno ripete le mie parole e tenta spi~garle ai compagni. Il sauri finisce c0n una forte stretta di mano fra me ed il capo - i perso– naggi più importanti dell'assemblea- _cui egli aggiunge un all 1·ight (va bene), pronunciato a modo suo, che deve aver imparato dal go– vernatore. Con lui parte un gran numero dei
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