Missioni Consolata - Maggio 1903

la - Q nazione incidentale al nostro sguardo, allora è difficile scoprire villaggi; in posizione con– traria essi risaltano invece assai bene. Senza dubbio a due ore da Tusu e per pa· recchie ore di cammino, il paese è molto den– samente popolato: dapertutto villaggi: ogni palmo di terra è coltivato e su ogni pezza di terreno compaiono persone che la lavorano. Dapertutto la stessa fertilità, la stessa inten· sità di coltivazione; nè appare alcun segno di irrigazione artificiale, poichè le pioggie, ab– bondanti e regolari, assicurano la naturale. Discendendo verso Moranga gli ignami ed i banani sono succeduti agli nduma e le bana– niere, circondanti in parte i villaggi, diven– gono sempre più fitte e più estese; i banani qui cominciano a divenire il principale ali– mento della popolazione. Siccome siamo sotto l'equatore, ogni discesa di cento metri rappresenta come il passaggio di un grado di latitudine, e non c'è da mera· vigliarsi se la vegetazione diviene rapidamente tropicale e la temperatura si fa subito più elevata, o, a meglio dire, meno fredda. Qui gli alberi, eccetto i sacri, sono tutti scomparsi, ma il paese è dapertutto verde; soltanto i tratti di recente coltivati appaiono di un rosso vivo. Si incontrano numerose piante di ta– bacco: ne misuro parecchie foglie e trovo una media di cm 25 X 50 di superficie. Il tabacco è usato soltanto da fiutare, ed ogni buon Aki– kuyu è sempre munito della sua tabacchiera, da quella in avorio a quella di semplice canna di bambu: per cacciare il tabacco ben su nel naso si usa un pennello o l'unghia del dito tenuta lunga. Il tabacco è di una qualità assai forte e, naturalmente, in paese non ha quasi alcun valore. La nostra vaniglia vi si trova allo ·stato selvatico ed abbondantissima: ha poco profumo, ma le sue foglie sostituiscono molto bene le pianticelle usate in Italia per condi– mento, e noi, non avendo di meglio, ne usiamo largamente nella nostra ·cucina. Alle cinque ci arrestiamo, perchè i porta– tori non potrebbero· in un sol giorno percor– rere tutta la strada di Moranga, e piantiamo il campo presso il capo Kinièru, nostra antica conoscenza, e che troviamo occupatissimo a chiaccherare. Ci accolse con festa e mentre rizzavamo le tende in mezzo ai banani, pro– curò che ci si portasse acqua, legna, latte e viveri per i nostri· uomini. Il piccolo accam– pamento non tardò a prendere il suo carat– teristico aspetto e presentare la solita anima– zione. Mentre i portatori van montando i letti, i nostri giovani puliscono le armi in mezzo ad un circolo di curiosi e timorosi spet– tatori, o stan piantando gli ultimi picchetti delle tende ed il cuoco si arrabbatta per tro– vare alcune pietre da improvvisare la sua cucina, noi ci laviamo abbondantemente nella fresca acqua che ci vien portata e ci scuotiamo di dosso (non dai piedi, poichè non ve ne sa– rebbe ragione, essendp ovunque ben accolti) la polvere del viaggio, pur sempre tenendo 73 D d'occhio che tutto proceda bene e sveltamente, perchè il sole non tarderà a nascondersi. Ma oramai ci conosciamo tutti e le cose procedono spiccie davvero. Il piccolo tavolino, che è volta a volta scrittoio, tavolo da pranzo e da lavoro, sostegno dell'altare portatile, è pronto, ed io mi ci siedo per terminare il mio breviario e per fare la penitenza di questo diario. Spero che, dato l'ambiente in cui mi trovo, le distrazioni nella recita del breviario non mi siano imputate a colpa. Appena seduto, come se ne avr ssi dato l'ordine o li avessi invitati, tutti i presenti mi circondano, a loro volta circondati da nuovi arrivati, finchè mi trovo in un vero stato di assedio. In principio stanno zitti e si limitano ad osservare le mie azioni, studiare il mio vestito e la mia barba; poi qualcuno inco– mincia a comunicare sottovoce le sue osser– vazioni al compagno ; altri piu audace, e che ha visto passare l'immagine della Consolata mentre cercavo le commemorazioni nel bre– viario, domanda di vederla. La diga è rotta e la fiumana straripa: tuiti parlano, tutti gri– dano ed io trovo miglior partito chiudere il breviario e prendere parte alla conversazione: affare non troppo facile, perchè bisogna par– lare con troppa gente in una volta. Vi sono i fanciulli che vogliono imparare il malloa (a leggere e scrivere) ; degli adulti, questi vuole la m,edicina, altri stoffa; le madri domandano un po' di sale per il bambino, di cui non si vedono che le manine ed i piedini sporgenti ai loro fianchi, mentre gli anziani ed i guerrieri appoggiati alle loro lancie, piu serii, parlano solo di cose serie. Ciò, però, fino a quando non sentano anch'essi una barzel– letta o uno scherzo, chè allora, senza distin– zione d'età o di dignità, tutti scoppiano in sonore risate e tutti van ripetendosi l'un l'altro le cose udite,· per poi ripeterle ancora alloro villaggio la sera e chissà per quanti giorni. Ma anche le cose belle debbono avere un fine; perciò pongo termine a questa, invitando il capo a togliermi lo stato d'assedio. E siccome per i renitenti egli impiega mezzi molto per– suasivi, il nero muro umano si allarga, ed io posso nuovamente respirare n· fresco venti– cello che mi manda il Kenia e riaprire il mio breviario. Ma ecco nuove distrazioni, di altro genere. La leggiera bruma serotina incomincia ad alzarsi dal fondo delle valli a rendere, all'oc– chio, pianeggiante il Kikùyu, ma su di essa, proprio a me di fronte, si leva nella sua mae– stosa imponenza la grande montagna: il Kenia. Le sue nevi perpetue, baciate dagli ultimi raggi del sole morente, brillano di vivo splendore, mentre la penombra azzurrognola che già av– volge la sua base, isola e stacca quasi dalla., terra quella visione che non sembra terrena.. E mentre il Kikùyu ed i grandi piani massai, l che gli servono come trono di gloria, vanno , addormentandosi nell'ombra che si avanza, il' gigante leva ancora la sua testa: superba, sci n~

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