Missioni Consolata - Maggio 1903

72 1a - eo.,solata Nel periodico di marzo, abbiamo presen– tata ai nostri lettori una breve cronaca dell13 peripezie che portarono i nostri missionari à Moranga ed a Lemòru. Ma a queste nuove fondazioni non abbiamo allora potuto accen– nare che in modo fuggevole ed insufficiente a mostrarne l'importanza. Perciò, anche come doveroso atto di ringraziamento per sì grande beneficio della Provvidenza, ci rifacciamo in– dietro a lumeggiare questi 'avvenimenti, co– minciando dalla fondazione della Missione di Moranga, intitolata al Sacro Cuore di Gesù. Riportiamo senz'altro il diario del teo– logo Perlo, nel quale è narrata giornalmente la storia di questa fondazione. Saluto a Maria Consolatrice- Partenza da 'l'usu - Lusso stradale - Un sentiero nella strada- Alberi sacri - La Croce-- A inutili domande, vuote 1·isposte - Moltiplicazione a vista dei villaggi - 'Tabacco e tabacchie1·e - Distrazioni forzate - Il Kenia e le sue bellezze. 31 ottobre. La Consolata vorrà benedire, speriamo, la nuova impresa destinata, come sempre, ad an– nunziare la gloria di Lei alle genti, tanto più che questa si inizia, non soltanto per effetto della nostra volontà, ma perchè la Provvidenza stessa ci ha forzata la :inano anticipando, cogli av>enimenti, i nostri propositi. Sorretti da questa confidenza, dopo aver dato un ultimo saluto alla Vergine della nostra cappelletta ed averle detto che non ci saremmo staccati dai suoi piedi, se prima non ci avesse benedetti, partii da Tusu .col fratello Luigi alle nove del mattino, diretti a Moranga a fondarvi la seconda stazione del nostro Istituto. La carovana era composta di portatori di Tusu, nostri antichi amici e lavoratori. Essi portavano due .tende, di cui quella doppia de– stinata. à cappella, l'altare portatile, i nostri due letti, e poi effetti personali, farmacia, cu– cina, viveri, utensili da lavoro, cordami, ecc. La strada da Tusu a Moranga, da parecchio tempo in costruzione, è in alcuni tratti abba– stanza comoda e non molto lontana dall'essere carrozzabile, ma in altri punti si riduce a sen– tiero, quasi interamente ostruito dalla vege– tazione erbacea, soverchiante il lento lavoro del nero, oppure improvvisamente si eleva con fortissima salita per superare un crestone, dopo il quale ridiscende a precipizio. Tuttavia, come strada d'Africa, può ancora essere ascritta alla prima categoria, ed il vedere come certe dif– ficoltà siano state elegantemente ed ingegno– samente vinte da ingegneri indigeni, senza pa– tenti nè stipendi, in terreni così accidentati e senza altri strumenti che i loro occhi ed i nazionali coltelli, aumenta in noi la stima per questi selvaggi figli del· Kenia, e la speranza della loro riducibilità in uomini cristiani e civili. ' Qualche tratto di via è persin doppio o triplo, ed arrfvando alla biforcazione restiamo sor– presi davanti a questo lusso stradale e per– plessi sul tratto da seguire; ma presto consta– tiamo essere questa una novella prova della capacità degli Akikuyu, poichè il saper cor– reggere e perfezionare le proprie opere, che sovente hanno un substrato di amor proprio, non è cosa di cui siano capaci tutti i bianchi. La strada, non essendo percorsa da rot11-bili, si conserva bene anche senza ghiaia e spicca nel suo rosso vivo di quasi tutto il terreno del Kikùyu. Però su tutta la sua lunghezza, come uno stato nello stato, eone uno stretto sentiero ben battuto, che rappresenta la sola porzione usata dagli indigeni, poichè per quanto si allarghi la strada, non c'è pericolo che essi abbandonino il loro antico modo di camminare uno dietro l'altro; ed è così che in lunga carovana .can– tano le tradizionali canzoni, pur sempre rispon– dendone a tempo i ritornelli; così chiaccherano fra loro, ,quasi sottovoce, e pur intendendosi benissimo. Il tracciato dell.a strada non ha in alcun punto cento metri dl piano; sale e scende continuamente. Ma chi ci bada se la via, giunta al sommo d'una collina, apre allo sguardo sem,pre ·n:uovi orizzonti, splendidi panorami di colli sqcce" dentisi a colli in un elegante disordine, come onde gigantesche di un mare in burrasca im– provvisamente solidificatosi? Chi sente la ~tan­ chezza dell'erta, se una continua brezza alita sul viso, se gli occhi riposano sul verdè in– tenso .dei campi di patate dolci, se il mur:t;nure delle fresche acque scorr(lnti in basso giunge all'orecchio, frammisto al cinguettio degli uc– celli, al fruscio delle ~oglie dei banani, al <ianto degli indigeni lavoranti nelle loro mugunde? A mezzogiorno, dopo aver mille volte rispo– sto, senza bugie ma pur senza verità, ' alle solite domande rivolteci per via: - dove vai? a che cosa fare? quando ritorni? - e simili, ci accampammo per il pranzo. Mentre questo ~ veniva preparato, col binoccolo continuavo ad esaminare il paese ed a contarne i villaggi. Oramai il mio occhio si è àbituato a vedere ' :. i villaggi sparsi per le peridici, nascosti nelle ., anfrattuosità del terreno o dominanti dal dorso dei colli. Ma da principio la cosa non m'era facile: il primo sguardo novizio gettato in una ~ vallata, dà l'idea d'una soHtudirie, ma osser- vando più attentamente si riesce a distinguere qualche villaggio, e riguardando ancora man mano se ne scoprono altri ed altri. Da questo stesso accampamento, nel mio primo viaggio a Moranga, ero riuscito a contarne oltre qua– ranta contemporaneamente bene in vista; ora che sono già mezzo africano ne ho contato l centoquindici, e non mi meraviglierei affatto se un'altra volta si accrescerà ancora questa cifrà. Quando il sole si presenta con un'incli-

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