Missioni Consolata - Marzo 1903
38 111 <Zo.,so(ata così per prova. Oppure l'ammalato viene con numeroso accompagnamento: dopo l'interro– gatorio, preparo la medicina intanto che tutti mi si pigiano attorq.o per osservare quali misteriose operazioni io vada compiendo. Quando il medicinale è pronto, invito l'am– malato ad avanzarsi per somministrarglielo: difatti uno si avanza, lo prende, lo ingoia. Io saluto la compagnia e m'avvio per rien– trare in casa,,ma un altro m'arresta, doman– dandomi se, dunque, non gli do la medicina. È questi il vero ammalato: chi teste ba preso la medicina è uno di quelli venuti solo per accompagnarlo. Uno dei nostri ragazzi (boys), avendo fatta una indigestione, se ne stava nel suo ·let– tuccio in preda a terribili dolori di ventre. Gli preparo un forte purgante, poi lo inzuc– chero bene, dicendo agli altri ragazzi pre– senti che quello zucchero è uno speciale fa– vore riserbato ai ragazzi buoni. Ad uno di essi poi consegno la medicina, coll'incarico ' di portarla al compagno. La sera, prima di andar a dormire, mi reco dal malato e gli domando se la medicina gli ha fatto bene; ma, con meraviglia, apprendo che essa non è giunta fino a lui. Lo zucchero era stata una tentazione troppo forte per l'infermiere, · il quale anche l'indomani provò i buoni ef– fetti del farmaco àppropriatosi. Non è raro il caso di qualche fanciullo che curato di piaghe alle gambe col relativo bendaggio, ritorna colla testa fasciata, usando delle bende come ornamento e dimenticando il suo male. Molti, anche fra gli adulti, vo– gliono osservare da sè l'andamento della cura, e perciò sb~ndano e ribendano - si può im· maginare come - tutte le volte che loro ne salta il capriccio. Alcuni prendono gusto a farsi curare: se si ordina loro di tornare, per es., dopo cinque giorni, ricompaiono in– fallibilmente il secondo giorno; altri avendo riceyuto un medicinale da prendere ad in– tervalli, preferiscono consumarlo subito in una volta sola. kùyu almeno di patate dolci ve n'ha per tutti, ma vengono per godere gli avanzi della nostra non lauta mensa. È curioso il vedere come sanno, senza orologi, conoscere esatta– mente l'ora dei nostri pasti e come si tro– vino puntuali. Poveretti! A molti non suc– cede in tutta la vita di poter gustare carne; a costoro un osso di montone da rosicchiare sembra la più squisita cosa del mondo. Con alcuni figli di Karòli ed altri fra i più intelligenti dei nostri piccoli amici, ab– biamo principiato la scuola. Molti docenti d'Europa potrebbero invidiarci la docilità esemplare di questi vispi indigeni, la buona volontà da cui sono animati per apprendere a leggere e scrivere (il malloa, com'essi di– cono) e le altre belle cose che sanno i bianchi. Ma più ancora dei suoi piccoli sudditi, Karòli stesso è impaziente d'imparare il · malloa, sebbene, per le sue buone ragioni, desideri ,prendere in segreto le sue lezioni. Fin dall'indomani del mio ritorno a Tusu, mantenendo la promessa fattagli prima di partire, incominciai ad insegnargli a fare il suo nome in lettere maiuscole. Dimostrò molta facilità -imitativa, e con prontezza apprese e conservò la giusta posizione ; ad ogni due o tre ghirigori aveva cura di umettare colla lingua la matita, come aveva visto fare gli europei. Le più gravi difficoltà furono per lui il tenere sempre per il giusto verso il foglio e la scritturazione degli R e dei K. Ma, infine, copiando con esemplare pazienza il modello delle lettere da me tracciategli al principio d'ogni riga, riuscì a riempire le due facciate che spedisco a V. S. e che lascia– rono contenti dell'esito di questa prima le- – zione maestro e discepolo. Tuttavia, anche con questi allievi modello il nostro còmpito non è dei più facili, a causa delle difficoltà del linguaggio. La lingua kikùyu non presenta per noi italiani gran difficoltà quanto alla pronuncia, non avendo quasi altro di esotico che le aspi– rate. L:.~. maggior difficoltà sta per noi nel Vi è poi un genere speciale di ammalati: quelli che hanno fame. Non è propriamente che non trovino da mangiare, poichè al Ki- l conoscerne la grammatica, che ancora manca, e di cui dobbiamo perciò dedurre faticosa– mente le regole dal .vivo. Siccome gl'indigeni ' '
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