Missioni Consolata - Novembre 1902

11' eo.,solcda 181 Nijro, il quale circuiscf) a nord il 'Kenia, e scende ad est nella steppa dei Galla Boran in direzione dell'Oceano Indiano. Il Kikùju confina al nord col Kenia; al– l'ovest con grandi foreste vergini; all'est ed al sud colla grande steppa dell' Ukamba e del Massailand. Discendendo da quell'incanto di natura, prima ancora di toccare il pianoro ukambese, il quale da Nairqbi si estende sino alla stazione di Voi ed è attraversato dalla fer– rovia, il verde cessa d'un tratto e si discende. neWAfrica, la vera Africa. Gli Inglesi per recarsi al forte Hall (l\foranga) passano per la steppa ukambese, descrivendo un gran circolo intorno al Kikùju. Io . ho percorsa questa strada. Ai nostri occhi, sazi di verde e di bellezze naturali, si presentò il contrasto di un paese arido e desolato: non una capanna, non un albero sulla sterminata landa, ·che soli scorrevano numerosi gruppi di zebre, bos cafer, antilopi, kongoni e struzzi. I fiumicelli del Kikùju, raggruppati dieci o dodici in uno, attraversano la steppa per raggiungere il Tana. Nella valle da essi per• corsa e riempita di superba vegetazione cre– sceva il. tetro orrore: là non v'era più alcuno dei graziosi animali della · steppa, perchè vi era il solo che allontana tutti gli altri: il leone. E nella notte, entro la forte zeriba col fucile a palla esplosiva accanto, udendone il sinistro ·ruggito, io pensavo alle molte missioni africane che si trovano in simili condizioni, mentre noi nel Kikùju non ab– biamo neppure le mosche a ricordarci che qualche cosa bisogna soffrire. Nel guado del Daringo disturbammo un leone dal suo pasto umano: un povero akikuju, forse avventu– ratosi da solo in quei paraggi•, poche ore prima era stato assalito ed ucciHo e giaceva · orrendamente mutilato sul sentiero..... Sa– pendosi .che la belva doveva trovarsi assai vicina a tener d'occhio la sua ·preda, la no– stra carovana si strinse in colonna serrata camminando con precauzione. Durante il viaggio io, riflettendo alle bar– riere naturali da cui è circondato il Kikùju, pensavo che ciò fosse una pietosa disposi– zione della. Provvidenza, per impedire che l'islamismo e la pseudo civiltà penetrasser(} a guastare questo popolo, che più si conosce pilY si è costretti ad .amare. Molti viaggiatori europei sono soliti classificare le popplazioni africane in buone o cattive, secondo che si lasciano rubare impunemente i loro averi (} sanno, come sempre fecero gli Akikuju, di– fenderseli. Ecco il motivo della cattiva fama di questi popoli, cosi fieri della loro indi– pendenza che si fanno uccidere piuttosto che lasciarsi trarre schiavi. At traversando i lor(} villaggi, ci offrivano persino quello che ave– vano in bocca. Tutti i grandi capi ci regala– vano montoni senza pretendere niente da noi– Io credo che questo popolo è troppo buono per diventare mussulmano o protestante: Iddio deve avergli riserbato più alti destini. È .un popolo che merita di esse1·e cristiano. Quando attraverso al Kikùju, ad ogni o1·a di marcia contavo una cinquantina di vil– laggi, ad ogni sosta ero circondato da cen– tinaia d'indigeni, al veder questa immensa. popolazione rivolta verso di me, quasi a do– mandarmi la parola di vita che ancora non conosce, io mi sentivo struggere di compas– sione e dal desiderio di far presto qualche cosa per essi. Quanta messe d'anime che non aspetta se non i mietitori!... Ah se tanti miei giovani compagni di _sacerdozio venissero presto in nostro aiuto, quanto maggior bene opererebbero qui!... Naturalmente il campo è ancora da disso– dare, ma agli operai evangelici non succede– rebbe qui, come nell'Uganda, dove in cinque anni la metà dei missionari muore e l'altra metà diventa inabile, pur avendosi tutte le cure compatibili col ministero. Nel Kikùju clima primaverile, non febbri, non malattie particolari agli europei; l'acqua è pura. e fresca; la carne sana ; bevendo latte e caffè e mangiando riso e patate, si può stare benissimo anche senza vino e senza pane, sebbene anche questo ce lo procuriamo qual– che volta colla farina venuta dall'Europa, che facciamo cuocere entro buche scavate nel ter– reno, come i soldati al campo. E questo, e quanto altro vado ripetendo continuamente a V. S. non è poesia, è la pura realtà.

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