Missioni Consolata - Settembre 1902
J1l <2o11solat.a 147 torinese affollata nel santuario; facciamo gli addii ai nostri nuovi amici, ed in compagnia di Monsignore e del P. Hémery ci avviamo a Nyrobi, d'onde alle 14 lr2 partiremo per Naivasha. Nel recarci alla stazione abbiam un incontro inaspettato: è lo stesso Karòli, il nostro futuro capo, il quale dovendo venire a Nyrobi per pagar il tributo al govetno inglese, ed anche per prender parte alle feste ufficiali per l' incoronazione del re Edoardo, saputo che ebbe il nostro arrivo, anticipò il suo viaggio per darci qui il benvenuto. Così noi abbiamo il piacere di fare la sua cono– scenza, e siccome era in una tenuta non troppo decorosa per un'autorità, e noi era– vamo senza stoffe perchè gia spedite a Nai– .vasha, gli regalammo alcune rupie, affinchè potesse comperarsi una coperta in .cui drap– peggiarsi. Compiuto il nostro omaggio di sudditanza, saliamo sul treno. Appena lasciato Nyr.obi la ferrovia s'iner– pica (è la parola propria) sulle colline del Kikùju. Dopo un quarto d'ora si rivede la Missione 'cattolica di Nyrobi, ed una mez– z'ora più oltre la scozzese protèstante. Il paesaggio va crescendo in magnificenza e splendore. La popolazione è assai densa in questo tratto, a giudicare dai numerosi vil· laggi che s'intravvedono, e dai larghi tratti di terreno coltivato assai regolarmente a fa– giuoli, patate e mais. Quando le due mac– chine di testa e di coda si arrestano nella stazione che porta il nome di Kikùj u per fare vapore, pare che da ogni cespuglio esca gente chè s'affolla a contemplare il treno. Ad l ora dopo la stazione di Kikùju i campi coltivati van man mano cedendo il posto a brughiere di piccole piante avviticchiate, le quali poco a poco crescono in altezza. Ìnfine l' penetriamo in piena foresta vergine. Arriviamo ad un punto ove poco tempo fa le corde e gli argani dovevano venire in ~ aiuto alla locomotiva, affinchè il treno po– tesse vincere la fortissima salita; ora, a forza di curye, essa va su su, senza rinforzi, ma adagio e sbuffando fortemente. E così giun– giamo ad una vasta spianata; il mio baro– metro segna 2600 metri sul livello del mare. Al termine della spianata si serrano tutti i freni. Incomincia la famosa china di Escar– pement, la quale ha gia visto alcuni treni discendere con velocità. ultraregolamentare e colle relative conseguenze..... In men di mez– z'ora discendiamo di circa 700 metri, attra– versando bellissimi ponti in ferro fatti a curva e scavalcanti gole profondissime. Alle 19 3r4 arriviamo a Naivasha, sulla sponda del lago omonimo, nel grande piano vulcanico, noto sotto il nome di Rift Vally. Presso la solita casetta ed i serbatoi della ferrovia, alimentati da un mulino a vento, v'è il magazzino-deposito di Alidina Vishram, ed il paese è tutto lì. Ma Naivasha è ancora una stazione governativa- militare con un sotto - commissario ed un quartiere o forte, presidiato da una cinquantina di soldati indi· geni. In origine questa stazione faceva parte del lungo cordone di poste militari, stabilite affine di proteggere le numerose carovane che da Mombasa muovevano al gran lago o all'Dganda; anche ora però serve a tenere quieti i terribili massai, i quali sono qui nel loro centro. Il forte è a circa 1900 metri sul mare. Sulla grande pianura, come su molte del– le alture intorno è visibilissimo ed imponente il lavorio dei vulcani, nei crateri profondi che paiono minacciare ancora, nei crepacci, nelle lave. A nord e a nord-est però le mon– tagne del Kikùju ci si presentano coi fianchi ricopert~ di verzura. La è la nostra meta: l'ignoto, a cui però muoviamo fidenti, come inviati di quella invincibile potenza che con dodici pescatori d'anime conquistò il mondo. · Siamo come sul limitare del nostro di– stretto. Vi entriamo appunto nell'ora in cui a Torino si chiude in tutto il suo splendore la festa della Consolata. Coll'immensa folla devota dei nostri concittadini lontani, ci pro– striamo in spirito All'a1·e splendenti.... della Vergine, e la sacra laude popolare che s'alza poderosa laggiù ai piedi delle nostre Alpi ci suona in cuore, come una marcia trionfale che ci accolga sul campo aperto alle nostre fatiche.
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