Missioni Consolata - Ottobre 1901

158 Jll <2of}solata pett~ un urto, senza conseguenze. Come mai? Nel modo più semplice. - La povera madre, vedendosi perduta, si era raccomandata a Maria Consolatrice, e con uno çli quei pen– sieri che passano come un lampo, promise di farne dipingere la santa llllmagine sul!a casa. E sciolse il voto. La Consolata di là, rivolse il suo sguardo ·pietoso sui figli... Ora chi può ridire i pe– ricoli evitati, le buone inspirazioni, gli aiuti, in una parola tutto il bene che è derivato da quella santa Immagine di Maria? Là presso, ·scorre lento, profondo un ca· nale, che alimenta una bealera s~ cui si trova il molino. Un giorno un fanciullo di pochi anni, cade nel canale: l'acqua lo trascina nella bealera... il molino è presso... le sue ruote travolgeranno quel misero corpo... il bimbo è perduto. - No:- disse il bimbo a quelli che giunsero in tempò a salvarlo - io sapevo di non morire. - Ma come sapevi di non morire? - Lo sapevo perchè ho visto Bull' acqua una Signora, la quale mi disse .che mi avrebbe libemto. E il racconto da lui fatto coll'ingenuità infantile, rafferma nei cuori la fede e li in– nalza a quella Signora potente che vuol . -essere salvezza nostra in vita, e nostra eterna compagna dopo morte. . del ga11tuario · ~~~ Grazia recanti riferita alla sacrastia dal Santuario QUA.DBI VOTIVI POBTA.TI IN A.GOSTO N. 42 Torino. - Fra le pie e balde turbe di gioventù torinese, che all'esordire del nuovo .secolo si recarono con affettuoso slancio ai piedi della Consolata, per consacrarsi a Lei, fu assai notata · la bella schiera dei convit– tori del fiorente Istituto Sociale. Essi, assi– stendo con singolare pietà alla S. Messa, si accostarono in corpo all'Eucarl.stica Mensa, ed infine pronunziarono ad alta e chiara voce l'atto di. consecrazi'one, edificando col loro perfetto contegno e colla loro pietà_quanti si trovarono presenti alla sacra funzione. La Consolata aggradì certamente. con un materno celestiale sorriso quell'omaggio, quale olezzante mazzo di preziosissimi fiori. E non tardò a darne una pro':.a patente. Poco tempo appresso il convittore STEFANO BuFFA, della 3a camerata, fu improvvisamente sorpreso da una straordinaria mancanza di forze. Di vigoroso e pieno di brio, si fece pal– lido, affilato nei tratti del viso; perdette la gaiezza a lui consueta e quell'ardore con cui soleva prendere parte alle ricreazioni, restan– dosene volentieri in disparte quieto e melan· conico. Il cambiamento fu subito notato dai compagni e dagli accorti Superiori ; ma inter– rogato dagli uni e dagli altri con dolce in– sistenza, il giovinetto non accusava alcun male speciale, cercando quasi sottrarsi alle amorose sollecitudini ed alle cure, come chi è preso da quella ritrosa apatia, che così bene caratterizza certi malesseri generaF e profondi. Ai primi di marzo Stefano Buffa dovette mettersi a letto, e l'indisposizione aggrava– tasi, fu infine dichiarata dai medici come tiflite. Il malato più non potendo tollerare alcun cibo, nello spazio di quindici .giorni, sia per la denutrizione, come per i continui accessi di vomito e per gli acerbi dolori ininterrotti, era deperito in modo da essere pressoché irriconoscibile, e quanti lo vede– vano ne ritenevano quasi impossibile la gua· rigione. Il dottore curante e quelli chiamati a consulto, sebbene non dessero il caso ·per disperato, lasciavano chiaramente intendere· che esso era gravissimo e poco adito lasciava alla speran~a. La notte precedente la festa di S. Giuseppe, e questo giorno medesimo, furono per il malato più che mai dolorosi. Frattanto i èonvittori · pregavano ardente– mente il S. Patriarca per ottenere la gu_ari-

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